giovedì 29 ottobre 2009

Un Papa donna e un Papa in pensione


29/10/09
A capo della Chiesa protestante (come successore di Martin Lutero) è stata eletta una donna. Si tratta di un evento senza precedenti nella storia della Chiesa evangelica.
E’ stata eletta il 28 ottobre 09 dal sinodo delle Chiese evangeliche tedesche (Ekd) con una maggioranza impressionante di 132 voti su 142, si chiama Margot Kaessmann, ha 51 anni e 4 figli, sarà il punto di riferimento di 25 milioni di protestanti in Germania.
La Kaessmann è entrata nella Chiesa evangelica tedesca, nel 1981, dieci anni fa fu nominata vescovo, e si oppose alla logica delle "quote rosa" nella carriera della chiesa evangelica. La Kaessmann è divorziata e a proposito della fine del suo matrimonio in una intervista rilasciata al quotidiano “Hamburger Abendblatt” ha detto: «Il dono del matrimonio mi è stato tolto dopo 26 anni, e ho divorziato. Non volevo mantenere un matrimonio di facciata, ma vivere in modo sincero»
La Kaessmann, riferendosi alle altre chiese cristiane, si espressa sul valore della dimensione ecumenica: «Ci unisce più di quello che ci divide» «Noi siamo la Chiesa nel mondo con il compito di diffondere il Vangelo, di celebrare la messa, e di sostenere i più deboli».
Un’altra particolarità da evidenziare è che nell’incarico di capo delle Chiesa evangelica succede al vescovo di Berlino Wolfgang Huber, che va in pensione a 67 anni. Anche questa possibilità di andare in pensione per un capo della chiesa è una dimensione umana; chi non ricorda gli ultimi anni faticosi dell’ultimo Papa cattolico, quel suo stanco sollevare la mano tremante.
francesco zaffuto
(immagine – “papaveri rossi tra le colonne dell’Acropoli” foto © maria luisa ferrantelli)

martedì 27 ottobre 2009

Posto fisso come valore, ecco una proposta concreta per la scuola

21/02/10
Questo post inserito il 27/10/09 ha necessità di un aggiornamento. Un attento lettore Anonimo ha inserito un commento legato al post che ci ricorda che l'emendamento Valditara è stato bociato tre volte.
Riporto qui in testa il commento
"L' emendamento Valditara + altri a oggi, 19/2/2010, ha subito 3 bocciature:
1)in commissione Finanziaria
2) come allegato al decreto salvaprecari
3)come emendamento al decreto milleproroghe
Ciò nonostante sia stato approvato un OdG che impegna il Governo in questo senso.
Conclusione: quando un governo boccia norme proposte dalla sua stessa maggioranza significa una cosa sola: che intende prendere in giro i beneficiari della norma e cioè i precari. Non fatevi illusioni: sono solo parolai cadreghinodipendenti"
Non posso che che concordare con l'Anonimo commentatore e aggiungere che dall'ottobre ad oggi abbiamo avuto anche le sparate di Brunetta che andavano in tutt'altra direzione rispetto a Valditara. L'attuale maggioranza riesce ad essere opposizione di se stessa, un modo come un altro per raccogliere voti da più parti.
Sull'argomento ricevo la segnalazione di un parere diverso al link
(f.z.)
(segue il vecchio post di ottobre)

27/10/09
Di fronte alla catastrofica situazione dei precari della scuola la GILDA degli insegnanti ha proposto qualcosa di ben preciso:

“Un abbuono contributivo per i docenti che si trovano nell’ultima fascia stipendiale, favorendo un prepensionamento volontario e lasciando liberi i posti per immettere in ruolo gli abilitati.
Si tratta di provvedimenti già assunti dal Governo per le grandi società private (Alitalia, Banche, Chimici ecc.), ma anche aziende pubbliche (Ferrovie, Poste, e Municipalizzate dei Trasporti) che, a fronte di tagli strutturali, creerebbero solo un lieve anticipo di spesa per i prepensionamenti.
Una spesa veramente lieve perché farebbe risparmiare sull’indennità di disoccupazione .....
Un ulteriore risparmio verrebbe realizzato sugli stipendi, calcolando che a lordo delle ritenute fiscali, un neoassunto costa tra gli 800 ed i 1.000 Euro in meno, rispetto ad un docente giunto all’ultima fascia stipendiale. “ (da Professione docente - Ottobre 2009)


La proposta della GILDA degli insegnanti porta a liberare 20.000 posti per ogni anno di abbuono contributivo, una ricchezza di posti che farebbe diminuire il malessere di tanti docenti precari e creerebbe realmente quei posti fissi che Tremonti e Berlusconi, giorni fa, hanno considerato come valore.
Questa proposta è stata raccolta da alcuni senatori del PDL che hanno firmato un emendamento alla Finanziaria del Senatore Valditara, emendamento che sostanzialmente raccoglie la proposta della GILDA degli insegnanti, eccolo:

ART. 2
Dopo il comma 4, aggiungere i seguenti:
"4-bis. Il personale docente delle scuole statali che, entro il 31 gennaio 2010, con decorrenza dal successivo 1° settembre 2010, rassegni le dimissioni volontarie dall'impiego, può domandare di accedere al trattamento pensionistico di anzianità, in presenza di un'anzianità contributiva pari o superiore ad anni trentaquattro e di una età pari o superiore ad anni 59, di una anzianità contributiva pari o superiore a trentacinque anni e di un'età pari o superiore a 58 anni, oppure in presenza di un'anzianità contributiva pari o superiore a trentasei anni e di un'età pari o superiore a 57 anni, oppure, indipendentemente dall'età, in presenza di un requisito di anzianità contributiva pari o superiore a trentotto anni.
4-ter. Con decreto del Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca sono determinati i criteri per l'accettazione delle domande di pensionamento fino alla concorrenza della cifra stanziata. Nell'ipotesi di mancata accettazione della domanda il richiedente può rimanere in servizio.

L’emendamento attualmente risulta firmato dai Senatori VALDITARA – AUGELLO – VIESPOLI – BALDASSARRI – TOFANI – MENARDI – SAIA – NESPOLI – COLLI – VETRELLA - FIRRARELLO

La GILDA degli insegnanti invita tutti gli insegnanti precari e di ruolo ad inviare lettere e mail ai senatori e ai deputati, del governo e dell’opposizione, per sostenere detto emendamento come gesto concreto per la creazione di posti nella scuola in un momento di particolare crisi.
Credo che questa proposta della GILDA degli insegnanti vada chiaramente nel senso del LAVORARE TUTTI – LAVORARE MENO, un sacrosanto slogan della sinistra di diversi anni fa; di conseguenza anche i parlamentari dell’opposizione potrebbero sostenerla. Qualche anno di lavoro in meno per dei lavoratori prossimi all’uscita per lasciare posto a un personale precario; una scelta che in questo particolare momento di Crisi economica viene ad essere a sostegno della creazione di nuovi e stabili rapporti di lavoro e a sostegno della domanda interna. Il costo di tale operazione è contenuto, come spiegano gli stessi proponenti, ed il beneficio notevole.

Sarà firmato questo emendamento dagli altri senatori e deputati della compagine governativa? Sarà firmato da esponenti dell’opposizione? I tanti deputati e senatori dell’opposizione e del governo cosa faranno, firmeranno o si ripareranno dietro la linea Draghi applicata ad ampio raggio (la linea che non si possono aumentare di un centesimo i costi del prepensionamento)? I posti di lavoro stabili non possano nascere solo per le virtù magiche della ripresa del Pil, senza nessuna spinta e senza nessun progetto delle pubbliche amministrazioni.
francesco zaffuto

Pagine web per elenco mail dei Senatori e dei Deputati a cui inviare appelli la creazione di posti di lavoro nella scuola

TESTO della MAIL che sto inviando a senatori e deputati

Egregio Senatore /Deputato
Di fronte alla catastrofica situazione dei precari della scuola la GILDA degli insegnanti ha proposto qualcosa di ben preciso: un abbuono contributivo per i docenti che si trovano nell’ultima fascia stipendiale, favorendo un prepensionamento volontario e lasciando liberi i posti per immettere in ruolo gli abilitati. Si tratta di provvedimenti già assunti dal Governo per le grandi società private (Alitalia, Banche, Chimici ecc.), ma anche aziende pubbliche (Ferrovie, Poste, e Municipalizzate dei Trasporti) che, a fronte di tagli strutturali, creerebbero solo un lieve anticipo di spesa per i prepensionamenti. Una spesa veramente lieve perché farebbe risparmiare sull’indennità di disoccupazione e un ulteriore risparmio verrebbe realizzato sugli stipendi, calcolando che a lordo delle ritenute fiscali, un neoassunto costa tra gli 800 ed i 1.000 Euro in meno, rispetto ad un docente giunto all’ultima fascia stipendiale. Questa proposta porta a liberare 20.000 posti per ogni anno di abbuono contributivo, una ricchezza di posti che farebbe diminuire il malessere di tanti docenti precari e creerebbe realmente dei posti fissi senza grandi aggravi di spesa. Questa proposta è stata già raccolta da alcuni senatori del PDL che hanno firmato un emendamento alla Finanziaria del Senatore Valditara, (emendamento all’art. 2 comma 4).
La proposta di creare lavoro stabile nella scuola in questo momento di crisi economica credo possa essere condivisa da parlamentari del governo e dell’opposizione.
cordiali saluti

sabato 24 ottobre 2009

IRAP, ma...

24/10/09


L'Imposta regionale sulle attività produttive IRAP, è stata istituita con il decreto legislativo 15 dicembre 1997 n.446. L'Irap è stata istituita nell'ambito della riforma della finanza. Con la sua istituzione sono state soppresse: l'Ilor (Imposta locale sui redditi), l’ Iciap, imposta sul patrimonio netto delle imprese, la tassa di concessione governativa sulla partita Iva, il contributo per il servizio sanitario nazionale (tassa della salute), i contributi per l'assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi, il contributo per l'assistenza di malattia ai pensionati, la tassa di concessione comunale e la tosap.

L’IRAP colpisce il valore aggiunto che si è determinato con la produzione e la sua base imponibile si determina con:
Valore della produzione - costi deducibili
* ma tra i costi deducibili non vengono compresi: i costi per il personale fisso e occasionale, la svalutazione dei crediti e le perdite sui crediti, gli interessi passivi sui canoni di leasing.

L'imposta, sin dalla sua introduzione, ha suscitato notevoli polemiche.

Il punto più controverso è quello della non deducibilità del costo del personale; questo meccanismo grava in particolar modo sulle imprese ad alta intensità di manodopera riducendone la redditività rispetto ad imprese dove gli impianti sono preponderanti. Inoltre l'Irap spesso viene pagata dalle imprese anche in presenza di una perdita di esercizio andando ulteriormente a gravare sulle loro difficoltà.

L'imposta è stata oggetto anche di alcuni ricorsi alla Corte Costituzionale per presunti vizi di costituzionalità. Fino ad oggi la Corte ha respinto tutte le censure dei ricorrenti. Un altro intervento contro l'Irap è stato effettuato presso la Corte di Giustizia dell'Unione Europea che è stata chiamata a decidere se tale tributo fosse in realtà un duplicato dell'Iva. Il ricorso è stato respinto: in data 3 ottobre 2006 la Corte ha dichiarato la compatibilità dell'IRAP col diritto comunitario (sentenza 82/2006).
Sotto il profilo giuridico l’IRAP può essere anche accettata (lo Stato ha poteri ampi in materia fiscale e le decisioni in tale materia rientrano nelle sue competenze), ma quello che non si comprende è l’aspetto politico e sociale

La cosa più allucinante è che sia stata un’imposta inventata da un ministro di sinistra come Visco che oggi interviene nella polemica ricordando che “ L'Irap, e' stata introdotta ''come strumento di razionalizzazione e semplificazione di un sistema tributario deformato e distorto. Non è un'imposta sul reddito delle imprese, ma un'imposta su tutti i redditi riscossa dalle imprese per conto dello Stato. E' anche a prova di elusione''.

Certo i meccanismi di elusione per l’IRAP sono minori rispetto a quelli che gli imprenditori mettono in campo ai fini delle imposte sul reddito, ci sono meno scuse nelle stime di perdite e molte aziende che riescono ad occultare i loro redditi debbono sempre pagare qualcosa per l’RAP; ma non possono essere sottovalutate le critiche e il malessere prodotto dal questa imposta.
Le critiche maggiori all’IRAP sono sempre venute dalle piccole imprese e specialmente da quelle imprese marginali spesso in difficoltà, che si sono trovate a pagare l’IRAP anche in presenza di effettive perdite. Ma dovevano essere rivolte a Visco anche delle critiche ben più serrate dal mondo operaio e dalla sinistra: il meccanismo dell’IRAP spinge le imprese a diminuire le spese del personale aumentando le spese per i macchinari che sono sempre tutte deducibili; non è certo un meccanismo impositivo a favore dello sviluppo dell’occupazione.
L’IRAP sembra una imposta inventata, non da un ministro della sinistra, ma dalle aziende più grandi, che non hanno tanti problemi di marginalizzazione, che sono sempre propense a capitalizzare con nuovi investimenti in macchinari e tecnologie a tutto discapito delle aziende più piccole e marginalizzate.

Allora perché la sinistra con Visco inventa l’IRAP; perché trattasi di una sinistra che non ha il coraggio di mettere mano ad imposte patrimoniali, che ha voluto portare avanti il suo impegno di riforma del sistema fiscale ma che è stata sensibile alle istanze delle grandi e medie aziende.
Gli stessi sindacati non hanno osteggiato questa imposta perché l’hanno giudicata poco pericolosa per le grandi e medie aziende dove sono occupati i lavoratori più sindacalizzati, perché non andava a pesare sui pensionati e perché era lontana come meccanismo impositivo dalla percezione diretta che ne potevano avere i lavoratori dipendenti.
La stessa Confindustria per tanti anni, pur criticando l’imposta, non ha mai considerato la sua eliminazione come una questione principale.
Chi ha criticato ferocemente questa imposta sono stati i piccoli imprenditori marginali, gli artigiani, e a livello politico un partito come la Lega nord che trovava tra questi un fertile terreno di adesioni nel cosiddetto profondo nord. Oggi la stessa Lega però non vuole premere sull’acceleratore della eliminazione dell’IRAP e vuole attendere il completamento della cosiddetta riforma fiscale federale; l’IRAP, infatti, è un’imposta che crea un introito per le regioni che debbono decollare con la loro autonomia impositiva.
C’è da aspettarsi, dunque, che ogni riforma sull’IRAP sarà lenta, 38 miliardi non si sostituiscono facilmente e non si può certo mettere a rischio il servizio sanitario pubblico.

Ma a parte questo momento contingente sull'IRAP occorre fare una riflessione sull’intero meccanismo impositivo in Italia.
Riguardo alla differenza tra contribuzione obbligatoria per servizi specifici ed imposte generali per il mantenimento dello Stato credo sia meglio che venga lasciata una esplicita differenzazione.
Il contributo per il servizio sanitario è meglio che abbia una sua denominazione specifica, poiché trattasi non di una imposta generica per il mantenimento dello Stato e delle sue strutture centrali e periferiche, ma di un contributo per un servizio specifico che va evidenziato ai cittadini anche per la sua preziosità e per il suo obbligo di partecipazione, allo stesso modo dei contributi che vengono chiesti per l’assicurazione obbligatoria per la previdenza pensionistica.
Riguardo poi all’insieme delle imposte va fatto un discorso di equilibrio impositivo, le imposte debbono gravare su tre aspetti della ricchezza: quella del patrimonio (ricchezza che si è consolidata); quella del reddito (ricchezza che si produce nell’impiego dei mezzi di produzione e nel lavoro); quella del consumo (ricchezza che si evidenzia in atti di consumo). In Italia la politica fiscale ha preferito il reddito e il consumo; il reddito meno soggetto all’evasione è stato quello dei lavoratori dipendenti e questi hanno sopportato il peso più elevato dell’imposizione fiscale con la ritenuta alla fonte e con l’IVA sui prodotti come consumatori finali. In Italia, sia la destra che la sinistra non hanno voluto prendere in considerazione neanche lo studio di imposte patrimoniali; l’unica imposta patrimoniale che regge è l’ICI, tra l’altro fortemente attaccata dall’ultimo Governo; la stessa IVA, che tempi addietro veniva sventagliata con aliquote diversificate tra prodotti di lusso e beni di necessità, si è appiattita su una applicazione generica del 20%.
La modifica dell’IRAP o la sua eliminazione dovrebbe dare inizio a un regime impositivo più equo e non rispondere solo alla generica richiesta di pagare meno “tasse”. Si possono pagare meno "tasse" se si riducono le spese inutili: gli stipendi estremamente elevati di politici e burocrati di Stato; quelli di conduttori televisivi; quelli di Generali e Magistrati; eliminando i costi di amministrazione delle Province; dei piccoli comuni da aggregare in modo più efficiente; delle consulenze super pagate. Non si possono ridurre le tasse distruggendo servizi essenziali preziosi per la collettività: servizio sanitario, previdenza pensionistica, scuola pubblica, sicurezza. Infine, il dibattito sulle questioni fiscali deve essere reso comprensibile ai cittadini perché dalla confusione su questo argomento deriva la peggiore politica.
francesco zaffuto

(immagine “mha!....boh!” fotocomposizione © liborio mastrosimone http://libomast1949.blogspot.com/ )


mercoledì 21 ottobre 2009

Tremonti e Berlusconi, se volete fare qualcosa per il lavoro fisso fatelo


21/10/09

Tremonti: “La mobilità del lavoro e la precarietà non costituiscono un valore in sé, anzi, il posto di lavoro fisso è preferibile, dal momento che costituisce la base per la stabilità della società.”

Berlusconi : “Confermo la mia completa sintonia con Tremonti. Per noi il posto fisso e' un valore e non un disvalore”.
Bene, allora :
- un piano di assunzione degli insegnanti precari della scuola
- un piano di assunzioni di tutti i portalettere della posta e basta con le ditte esterne
- un piano di assunzioni del personale degli ospedali e basta con le ditte esterne
Queste misure sono possibili, tanto per citare settori di interesse pubblico dove gli stessi Tremonti e Berlusconi possono fin da oggi operare per fare approvare atti normativi al Governo.

Ma al valore del lavoro fisso occorre aggiungere un altro elemento, il valore sopravvivenza con tutto quello che ne consegue: possibilità di vivere tutti i giorni – mangiare tutti i giorni – avere una casa – riuscire a pagare le bollette per il riscaldamento e la luce – mantenere i figli a carico. Questo valore di sopravvivenza va in qualche modo assicurato a chi ha il posto fisso ma anche a chi ha un posto precario, ed anche al disoccupato.
Le strade per riconoscere il Valore lavoro fisso e il Valore sopravvivenza, esistono e sono tutte percorribili:
- Stabilire una maggiore retribuzione per il lavoro a tempo determinato per scoraggiare l’uso costante del lavoro precario e stimolare gli imprenditori a trasformare i contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato: se la “flessibilità” è utile per le aziende ad una maggiore utilità deve corrispondere una maggiore retribuzione.
- Diminuire il tempo di lavoro degli occupati per far sì che venga creata una nuova fonte di occupazione. Ma per far sì che tale modalità possa essere perseguita è necessaria la solidarietà dei lavoratori occupati e delle stesse imprese che offrono lavoro.
- Incrementare tutte le possibilità di lavoro autonomo, incoraggiando tutte le capacità creative e diminuendo gli intralci burocratici
- Con interventi pubblici, attraverso organismi comunali, regionali e dello Stato, per utilizzare i lavoratori disoccupati in opere di pubbliche e servizi di pubblica utilità.
- Ma in caso di difficoltà permanenti, pur perseguendo prioritariamente tutti i modi sopraesposti, lo Stato deve garantire un salario minimo di sopravvivenza. Questo salario minimo, deve retribuire non tanto la cosiddetta disoccupazione ma “la disponibilità al lavoro”. Chi cerca un lavoro non dovrebbe essere più chiamato disoccupato, ma “lavoratore disponibile al lavoro”, una ricchezza umana in potenza per la stessa società che può essere utilizzata in modi diversi.
- La disponibilità al lavoro fa parte del “valore lavoro” e va riconosciuta dalla società. La retribuzione della “disponibilità al lavoro” dovrebbe essere ancorata ad una effettiva dimostrazione di disponibilità attraverso l’iscrizione a più liste pubbliche di collocamento. Una retribuzione alla disponibilità al lavoro che viene sospesa nei periodi di occupazione, ancorata alla effettiva reperibilità, con delle buone regole applicative e supportata da controlli per fare emergere il lavoro nero, non avrebbe costi elevati e la società ne può trarre un beneficio economico e sociale.
Queste proposte sono state più diffusamente trattate in questo blog nel post


Lavoro e disoccupazione

Bene se Tremonti e Berlusconi sono disponibili a migliorare le condizioni di lavoro possono farlo, hanno anche i numeri in Parlamento per farlo. Se poi si limitano a parlare per stuzzicare la Marcegaglia e i sindacati, allora..........

francesco zaffuto

(immagine – “triste pensando” china © francesco zaffuto link Meditazioni )

martedì 20 ottobre 2009

Ancora su Moro

20/10/09


Alla luce delle recenti rivelazioni su una possibile trattativa con la mafia per salvare uomini politici minacciati, Pierluigi Battista si chiede se la linea della fermezza adottata dallo Stato nella vicenda Moro fosse giusta (Corriere della sera del 20 ottobre 09).

Nell’ultimo libro di «controstoria», Cossiga pare offrire spunti nuovi. Se non rivelazioni inedite in grado di ribaltare il senso di quegli avvenimenti, un accento umano non scontato, una prudente apertura alle ragioni della famiglia Moro.
Moro fu un eroe per forza costruito dalle Brigate Rosse e dallo Stato, con le sue lettere Moro invitava a pensare al senso della vita, ma le sue parole accorate e drammatiche non furono ascoltate.
Quell’anno scrissi dei versi crudi su quella vicenda, li propongo, visto che quella ferita della Storia pare ancora non rimarginata.

L’eroe
(dedicata ad Aldo Moro che, vicino alla
morte, con le sue drammatiche lettere,
seppe guardare alla parte più preziosa
della vita)



Pura lega di acciaio
e filamenti d’oro la sua tempra
Un corpo disfatto tace
attende la lussuria dei vermi
Rami di alloro
alberi di alloro
foreste
pronti alla mistura
per un fiume di oppio
Miracoloso unguento
per le insane budella sociali
Lenire
Mostra salute la morte
Nessun vomito comatoso
solo commozione in presenza dell’eroe
Esultino i mezzi uomini
riscoprano la loro sociale virilità
Un grande enorme membro
troneggia
tra le gambe macilente
Noi siamo
noi possiamo
noi vendichiamo
dichiariamo solenni
Socialmente composti
e solenni

Ma ora lasciate
che io parli
non mozzatemi la lingua
con questa vostra solennità

Un albero è un albero
per le sue radici e le sue foglie
Un fiore è un fiore
per i suoi odori
colori e mutamenti
La capra fissa nel vuoto
e col suo guardare
ti trapassa masticando
L’uomo è uomo
per i suoi nervi
per il suo cuore che incalza
per la sua mano resa malferma dal pensiero

Ascoltate me
l’eroe
Non straziatemi con la vostra Storia
ora so di non conoscerla
non c’era
non era mai esistita
Inventata
per instupidire gli alunni di una scuola
Inventata
per cementare ruderi cadenti
Inventata
per reinventarla ancora

Non deponetemi su questo altare
non sarà l’incenso a ridarmi il fiato
se mi fugge l’odore dei campi

Se la vostra legge è la morte
allora la vostra società
la giustizia
lo Stato
le chiese
le strade
i ponti
tutto sa della vostra morte
Ma lasciate che io muoia di me
che mi accompagni il silenzio
e che possa vagare negli spazi
senza il peso delle vostre opinioni

1978 – dalla collezione © Scritti selvaggi di francesco zaffuto

(immagine “l’ombra della storia” acquarello © francesco zaffuto link Ombre )

domenica 18 ottobre 2009

Scuola di Islam e Scuola di Cattolicesimo

18/10/09
La proposta Urso, il no del cardinale Bagnasco, il sì del cardinale Martino, il sì di D’Alema il no della Lega Nord. La Costituzione e il Concordato, il sottile equilibrio. Ma libertà di culto e libertà di insegnamento non si possono confondere



La proposta del vice­ministro Adolfo Urso (Pdl - linea di Fini) , di introdurre nelle scuole la religione islamica come materia facoltati­va e alternativa a quella catto­lica (per evitare di lasciare i piccoli musulmani «nei ghet­ti delle madrasse e delle scuo­le islamiche integraliste» ) comincia a creare un vivace dibattito tra cardinali e politici.

Massimo D'Alema commenta positivamente: “Mi sembra una idea condivisibile, non capisco perché non si debba consentire a bimbi di religione islamica, come opzione alternativa, l'insegnamento della loro religione».

La Lega Nord si affretta a scendere in campo e con Federico Bricolo dichiara: «Con la Lega Nord in questa maggioranza non potrà realizzarsi in nessun modo la proposta di Urso per l'introduzione dell'ora di religione islamica. Non lo permetteremo mai: noi le nostre radici cristiane le difenderemo fino in fondo».

Ma per le radici cristiane, anzi meglio per le radici cattoliche, i competenti sono i cardinali ed eccoli. Stranamente questa volta pare che non suonano la stessa campana.

Il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio consiglio Giustizia e Pace, si sbilancia per un sì e sottolinea che, assicurando i debiti "controlli", si tratterebbe, oltre che di un "diritto", di un meccanismo che permetterebbe di evitare che i giovani di religione islamica finiscano nel "radicalismo". «A meno che non scelgano di convertirsi al cristianesimo - perché la libertà di religione è un principio sancito da Dichiarazione dei diritti dell’uomo - se scelgono di conservare la loro religione hanno diritto ad istruirsi nella loro religione».

Il cardinale Tonini parla di «PRESSAPOCHISMO»; «capisco le intenzioni ma dietro queste proposte c'è pressapochismo. Ci vuole massima prudenza nell'approccio con l'Islam». Secondo il cardinale, «si tratta di un'idea impraticabile, non attualizzabile nel nostro momento storico». Il cardinale precisa il suo disappunto: «pensare che l'Islam sia un gruppo completo, esaustivo, è un errore. L'Islam ha mille espressioni, collegamenti, imparentamenti. Insomma, con i valori della nostra civiltà non ha nulla a che vedere».

Il cardinale Bagnasco
, presidente della Cei, interviene con l’intervista rilasciata al Corriere della sera e pubblicata nella edizione domenicale del 18 ottobre. E’ contrario e si richiama all’articolo 9 del Concordato per dire che la religione cattolica fa parte “della nostra storia e della nostra cultura”; aggiunge che non si tratta di “una catechesi confessionale”, ma di una disciplina culturale nel quadro delle finalità della scuola.

Quella di Bagnasco è la linea che è prevalsa in Italia con il Concordato, dove la Religione cattolica è stata individuata come religione di Stato della maggioranza, dove lo Stato è disposto a pagare gli insegnanti che nomina la chiesa.

Vediamo il difficile equilibrio tra Costituzione Italiana e Concordato.
La libertà di culto nella costituzione italiana è stata inserita come aspetto essenziale della libertà di pensiero e di divulgazione del pensiero. Gli articoli 8, 19 e 20 danno un’ampia libertà di culto nel nostro paese; l’articolo 7 prevede però un particolare status per la Chiesa cattolica e rinvia ai Patti Lateranensi.
Costituzione
Art. 8.

Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

Art. 19.

Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.

Art. 20.

Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.

Art. 7.

Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.

Pare abbastanza evidente che alla libertà di religione e di culto viene riconosciuta la più ampia autonomia, tranne il generico limite di “purché non si tratti di riti contrari al buon costume” .
Ma riguardo all’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche occorre fare riferimento ai Patti così come sono stati modificati nell’ultimo Concordato tra Stato italiano e Chiesa cattolica.

http://web.infinito.it/utenti/i/interface/Concordato.html

Il Cardinale Bagnasco ha voluto fare riferimento espressamente all’artitolo 9 e in particolare al comma due dell'ultimo Concordato
Art. 9 - 2.La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado. Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento. All'atto dell'iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell'autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione.

Ma se è vero, come dice il cardinale Bagnasco, che l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole deriva dall’art 9 comma 2 del Concordato (a sua volta derivante dall’art. 7 della Costituzione); è anche vero che lo Stato può stabilire intese con altre comunità religiose. Infatti in una fase successiva al Concordato abbiamo avuto le intese con la Comunità ebraica, con la Tavola valdese e con altre comunità religiose. Una possibile intesa con le Comunità islamiche è allo studio e non si può escludere a priori che non si possa andare verso il riconoscimento di una qualche forma di insegnamento della religione islamica.
La stessa proposta del CO.RE.IS. (Comunità Religiosa Islamica) Italiana già prevede una possibilità con il suo articolo 20 comma 4: “ La Repubblica italiana, nel garantire il carattere pluralistico della scuola pubblica, assicura agli incaricati designati dalla Comunità il diritto, nell’ambito delle attività culturali previste dall’ordinamento scolastico, di rispondere a eventuali richieste, provenienti dagli alunni, dalle loro famiglie o dagli organi scolastici, in ordine allo studio del fatto religioso islamico. [I relativi oneri sono a carico della Comunità Islamica].”
Anche allo stato attuale dei dispositivi normativi, considerata la possibilità che hanno le scuole nella loro autonomia di istituire la materia alternativa, una scuola potrebbe costruire un corso di islamismo come materia alternativa.

Bene, ma chi potrà insegnare islamismo in Italia: sunniti o sciiti o altra scuola di pensiero religioso? Nelle scuole dove è più vasta la presenza di asiatici, accoglieremo altre richieste di altre religioni?
In una società multiculturale avere una scuola pubblica con cento insegnamenti religiosi è sintomo di sano pluralismo o è il sintomo di una grande dispersione?



Recentemente con il referendum che si è tenuto il, 26/04/09, i berlinesi hanno scelto l’Etica come materia obbligatoria per tutti.

Berlino: no alla Religione, meglio l’Etica per tut...

In Italia abbiamo le cosiddette tre possibilità di scelta tra: religione cattolica, materia alternativa e la possibilità di non avvalersi di partecipare.
Oggi un parlamentare come Urso solleva il problema dell’insegnamento della religione islamica come antidodo all’estremismo religioso, in una forma quasi strumentale per fini di sicurezza; qualcosa che è diversa da una motivazione religiosa.
Con l’avanzare di una società multiculturale in Italia le richieste continueranno ad addizionarsi, ognuno potrà chiedere un piccolo ritaglio, e ogni volta si inseguiranno scelte che hanno poco a che fare con la funzione della scuola.
La libertà di culto va lasciata nelle chiese e nelle sedi di culto di ogni collettività religiosa, la scuola è luogo delle conoscenze e non delle appartenenze.
Le religioni fanno parte della Storia dell’uomo e quindi studiare le religioni significa studiare la Storia delle religioni. Volere essere rispettosi della finalità della scuola, finalità di accrescimento delle conoscenze nella libertà dell’uomo, significa potenziare lo studio della Storia integrandolo anche con la Storia delle religioni e con la Storia del pensiero umano.Storia, Filosofia e Letteratura sono il nucleo della formazione umanistica della scuola. La libertà di culto va esercitata nei luoghi di culto, alla scuola va lasciata la libertà nella conoscenza dei fatti e del pensiero umano. Pluralismo nella scuola è avere un punto di incontro e un momento di confronto per tutti gli studenti, alla luce della conoscenza e per il reciproco riconoscimento, non la costruzione di recinti.
francesco zaffuto
(immagine – “papaveri rossi tra le colonne dell’Acropoli” foto © maria luisa ferrantelli)

lunedì 12 ottobre 2009

Libertà di pensiero e libertà d'insegnamento nella Costituzione italiana


12/10/09


Appunti dell’ intervento di Francesco Zaffuto nella

Giornata dell’insegnante 5 ottobre 2009 – Milano – Liceo Carducci – GILDA degli Insegnanti

L’azione di divulgare il pensiero è l’azione connessa alla libertà di pensiero. Una comunità sociale che vuole salvaguardare la libertà di pensiero deve permettere la sua libera divulgazione. Ogni limitazione alla divulgazione del pensiero, oltre ad essere un delitto contro la libertà di ogni singolo uomo, è un delitto contro l’umanità perché impedisce l’evoluzione dei processi di conoscenza.

Mentre nelle società autoritarie e totalitarie i limiti alla libertà di divulgazione del pensiero sono ben evidenziate dalle norme di legge ed il delitto contro l’uomo è abbastanza esplicito; in alcune società democratiche troviamo gli enunciati sulla libertà di pensiero posti tra le principali norme delle Costituzioni e una serie di norme applicative, leggi successive, che riducono nei fatti la possibilità di divulgare il pensiero o che danno il privilegio di questa divulgazione ad alcuni gruppi, spogliando gli altri individui di questa libertà.

La libertà di pensiero e della sua divulgazione nella nostra Costituzione italiana è inserita in un triplice aspetto:
- libertà di religione e di culto (artt. 7, 8, 19, 20)
- libertà di informazione e di stampa (art. 21)
- libertà di studio e di insegnamento (art. 33)
-
(vengono di seguito riportati gli articoli integralmente per facilitare la successiva osservazione; mi risparmio di leggerli)
Art. 7.Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.
Art. 8.
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.
Art. 19.
Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.
Art. 20.
Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.
Art. 21.
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.
Art. 33.
L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.
È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale.
Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.

Da una disanima anche rapida degli articoli della Costituzione si può notare che riguardo alla libertà di religione e di culto viene riconosciuta la più ampia autonomia, tranne il generico limite di “purché non si tratti di riti contrari al buon costume” .

Nel caso della libertà di informazione e di stampa, dopo un’affermazione generale di ampio respiro come: “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure” ; si passa a precisazioni su possibili limiti. Si prevede addirittura il sequestro anche in caso di “violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili”. Questa precisazione sui possibili limiti sarà tradotta successivamente in una visione ancora più restrittiva dalla legge n. 47 dell'8 febbraio 1948, dove vengono istituiti l’Ordine dei giornalisti, l’obbligo di registrazione di ogni periodico e l’obbligo di indicare un direttore responsabile con la qualità di iscritto all’Ordine.

Nel caso della libertà di insegnamento l’art. 33, dopo una affermazione molto ampia come:

“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”, non seguono limiti alla libertà d’insegnamento, ma vengono piuttosto affermate delle prerogative che lo Stato riserva a se stesso.

Enti e privati sono completamente liberi di istituire scuole di pensiero ed istituti educativi, ma lo Stato si riserva di:
- dettare norme generali sull’istruzione
- istituire scuole statali per tutti gli ordini e gradi
- di riconoscere un valore pubblico dei titoli di studio
L’atto con cui la Costituzione riconosce il valore è il cosiddetto “esame di Stato”.Esame che vale per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole pubbliche; per la conclusione e il riconoscimento del titolo conseguito alla fine degli studi; e per l’abilitazione all’esercizio professionale. La conclusione positiva dell’esame di Stato permette una equiparazione tra studenti che hanno frequentato una scuola pubblica e studenti che hanno frequentato una scuola privata.

Notiamo che il legislatore costituzionale è stato attento alle prerogative della scuola pubblica ma anche alle prerogative della scuola privata. Mentre nel caso della libertà di stampa ha previsto dei limiti, nel caso della libertà d’insegnamento pare essere più garante della libertà di divulgazione del pensiero; non è fuori luogo interpretare che la libertà di insegnamento sia stata intesa in Italia come quella più affine alla libertà religiosa; la forte presenza di istituzioni scolastiche cattoliche può essere stata la motivazione storica di tale atteggiamento garantista.

Ma il legislatore costituzionale nel contempo ha voluto rispondere a una tradizione dello stato liberale e laico, che dopo la fine del fascismo aveva ripreso vigore. Per rispondere a questa tradizione laico-liberale inserisce: “ Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.”La dizione è abbastanza chiara e non può portare ad equivoci: la Costituzione riserva allo Stato la possibilità di costruire scuole servendosi della generale imposizione fiscale. Le scuole private sono libere negli indirizzi e nell’insegnamento ma ciò non può comportare oneri per lo Stato.

Eppure lo Stato ha finanziato spesso le scuole private. Come è potuto accadere?

La spiegazione (o meglio la scusa) la troviamo nel cosiddetto concetto della parità concessa alle scuole private che la chiedono. Nel successivo capoverso dell’articolo 33 abbiamo: “La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.”E’ abbastanza evidente che questo capoverso non può rovesciare l’esplicito capoverso precedente del “senza oneri per lo Stato”; ma è diventato il cavallo di Troia con cui si è giustificata l’emanazione di leggine successive particolari, dove si potevano fare arrivare finanziamenti a scuole paritarie che in qualche modo assolvevano in modo equipollente a una funzione di Stato.

Il futuro ci fa presagire che questo andazzo di cose continuerà ad essere percorso anche se contrario a quel capoverso della Costituzione che esplicitamente dice senza oneri.

Nel dibattito sul finanziamento alla scuola privata è entrata con prepotenza, qualche anno fa, la proposta del cosiddetto Bonus da dare alle famiglie, spendibile a loro scelta nella scuola pubblica o in quella privata. Sul piano giuridico una tale procedura sconvolge il dettato costituzionale perché una parte delle entrate fiscali dello Stato sarebbe devoluta per Bonus alle scuole private; ma inoltre, tale procedura può determinare un vantaggio per le scuole private che potrebbero incamerare oltre al Bonus pubblico anche le rette e contributi di privati; rette e contributi privati che difficilmente arriverebbero alle scuole pubbliche.

Uno dei punti chiave della libertà d’insegnamento è la cosiddetta abilitazione all’insegnamento riconosciuta con esame di Stato così come previsto in generale dallo stesso art. 33 che è estendibile a tutte le professioni “È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale.”L’ articolo 33 se non si esamina sotto il profilo della libertà può assumere un aspetto contraddittorio: nel suo enunciato iniziale afferma “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”; nel suo enunciato finale afferma che per l’esercizio di una professione è necessario un esame di Stato. Se questo articolo lo si considera sotto il profilo della libertà, l’abilitazione all’insegnamento può valere solo per le scuole pubbliche e per quelle scuole che intendono chiedere una parificazione alla scuola pubblica, ma non può valere per le scuole private, perché andrebbe a ledere la stessa libertà d’insegnamento conclamata nell’enunciato generale.
Oggi ci troviamo di fronte ad una possibile ulteriore riforma del come si diventa insegnanti; abbandonati i corsi di abilitazione; abbandonati i concorsi con esami di abilitazione; abbandonate le SISS; si sta avviando una riforma improntata alla laurea specialistica indirizzata esclusivamente all’insegnamento e con un numero chiuso iniziale. Tale procedura di abilitazione restrittiva dell’esercizio della professione potrà essere applicata solo alle scuole pubbliche e paritarie, sarebbe lesiva della libertà se fosse applicata anche all’esercizio dell’insegnamento nelle scuole private.

Dopo questo tentativo di disanima dell’art. 33 può essere necessaria una riflessione sulla libertà di insegnamento vista da chi vive nella scuola: insegnanti e studenti.

Si può intendere come insegnamento l’atto di chi detenendo delle conoscenze vuole trasferirle ad altri individui; non solo divulgando queste conoscenze con parole e scritti, ma utilizzando anche un insieme di momenti esplicativi coordinati nel tempo (lezioni, spiegazioni, incontri periodici, tecniche varie).

Se affermiamo come necessaria la libertà d’insegnamento dobbiamo altresì affermare che il fine dell’insegnamento è un fine di libertà. La libertà di pensiero deve essere intesa sia per il maestro come per l’allievo poiché il processo educativo è un’interazione tra docente e discente.

Ma cosa significa appropriarsi delle conoscenze?

Se l’allievo avrà ancora bisogno del maestro, se deve essere ancora dipendente da lui, vuol dire che il processo educativo non è ancora completo o ha fallito nelle sue finalità.
Il vero maestro è quello che lavora nella libertà d’insegnamento per la scomparsa di se stesso: ha fatto diventare liberi e autonomi i suoi allievi con un livello di conoscenza più elevato.

Ora, maestri ed allievi sono più liberi in una scuola pubblica o in una privata?

Considerare un’istituzione scolastica privata più libera di una pubblica o viceversa è un esercizio inutile se non viene esaminato anche il contesto storico e le condizioni normative. In Italia la scuola pubblica, dal dopoguerra ad oggi, si è andata caratterizzando come scuola laica e aperta a una pluralità d’interventi culturali, la stessa cosa non si può dire per molte scuole private legate all’influenza di gerarchie ecclesiastiche.
La liberà d’insegnamento non è data dalla condizione di struttura privata o pubblica della scuola ma dal margine di libertà d’insegnamento e di apprendimento che in tale scuola possono esercitare maestri e allievi.
Il margine di libertà dell’insegnamento nelle scuole private è determinato dal progetto di chi ha istituito la scuola, può essere ampio o estremamente ridotto; il margine di libertà di insegnamento nella scuola pubblica è determinato da standard definiti in qualche modo a livello ministeriale.

Se ci addentriamo nell’esame del margine della libertà di insegnamento nella scuola pubblica ci accorgiamo che negli ultimi anni si è andato riducendo per i seguenti motivi:
- alle generiche linee di programma ministeriale che il docente doveva svolgere adattandolo alle condizioni della classe si è sostituito il POF di istituto, spesso definito non solo nel programma ma anche nelle metodologie. Una maggioranza di docenti con il voto determina nel Collegio docenti regole che valgono per tutti, ed a volte entra nel merito di programmi, metodologie, libri di testo in modo poco rispettoso della libertà d’insegnamento del singolo docente. La libertà d’insegnamento nella visione del POF diventa sempre più libertà collettiva del singolo Istituto e sempre meno libertà del singolo docente.
- i docenti sono sempre più considerati come impiegati con compiti burocratici e vengono continuamente premiate attività non legate all’insegnamento. Le attività aggiuntive, previste nei vari contratti collettivi, premiano con benefici economici le attività di non insegnamento, distraggono l’insegnante dalla sua attività principale e riducono il prestigio dell’insegnamento stesso.
Ma il futuro presenta ulteriori rischi di indebolimento della libertà d’insegnamento che possono determinarsi con:
- l’abbandono delle cosiddette graduatorie di accesso per l’assunzione che in qualche modo hanno assicurano una parità di trattamento indipendente dal portato delle idee dei singoli docenti. La cosiddetta assunzione diretta degli insegnanti che viene auspicata come una facoltà da dare ai Dirigenti scolastici, può ridurre la scuola pubblica ad ente amministrativo privato e può favorire tutti gli aspetti clientelari. Il Dirigente scolastico non può mai essere assimilato al Direttore di una scuola privata; nella scuola privata il rischio economico e culturale di un privato può giustificare la sua facoltà di scegliere il personale, nella scuola pubblica l’assunzione del personale deve fare riferimento a un concorso pubblico dove il merito è misurabile con precise norme. Le graduatorie sono state in qualche modo un preciso riferimento di merito, considerando che hanno fatto riferimento a voti conseguiti nei titoli di studio, di abilitazione, e nel punteggio per avere prestato servizio senza demerito.
- l’introdurre misurazioni di meriti conseguiti durante l’insegnamento non definibili oggettivamente. Oggettivizzare la ricaduta dell’insegnamento sugli allievi non è facile perché spesso tale ricaduta la si può avere ad una distanza di tempo molto lunga. Gli allievi si ricordano dei buoni maestri dopo tanti anni; quando sono adulti e capaci di apprezzare le antiche lezioni ricevute. Il ricorso a misurazioni di apprendimento affrettate sugli allievi, per misurare il merito dei docenti, può portare i docenti stessi a scegliere interventi didattici di moda a discapito di interventi di contenuto profondo che si debbono sedimentare nel tempo.
- l’avanzata progettazione sistemi di istruzione a distanza attraverso strumenti audiovisivi e collegamenti internet. Se gli strumenti audiovisivi e i collegamenti a distanza sono decisi e scelti dallo stesso insegnante per migliorare la sua lezione, possono ricadere nelle sue scelte di libertà di insegnamento; ma se sono scelti dall’Istituzione per sostituire le lezioni del docente, siamo di fronte non solo a una forte lesione della libertà d’insegnamento del docente ma addirittura al progetto della sua scomparsa: la classe potrà essere ben gestita da un guardiano e l’insegnate apparirà sul monitor; il problema della libertà d’insegnamento per il singolo insegnante non ci sarà più perché non ci sarà più neanche l’insegnante.
La strada della libertà di insegnamento è lastricata di sassi aguzzi per il futuro; certo l’insegnante greco, schiavo dei romani, che deteneva una cultura più forte seppe vincere la sua libertà a distanza nel tempo; ma oggi le condizioni sono un po’ diverse, le conoscenze non sono solo detenute dagli insegnanti, sono spesso detenute da centri di potere e da centri mediatici, e gli insegnanti sono spesso deboli e divisi. La necessità per gli insegnanti di associarsi per difendere la libertà di insegnamento è essenziale; non certo rivendicando un ordine come nel caso dei giornalisti che ha spogliato della libertà di stampa degli altri cittadini, ha garantito le posizioni di privilegio dei grandi giornalisti e non è certo servito a migliorare le condizioni di tanti paria del giornalismo; ma costruendo una grande e libera associazione degli insegnanti.
La GILDA degli insegnati è stata l’esperienza più interessante nel panorama della scuola pubblica in Italia dal dopoguerra a oggi; spesso le necessità dettate dalle scadenze sindacali hanno frenato il processo di costruzione dell’associazione dei docenti, ma è necessario continuare nel processo di costruzione della grande associazione libera dei docenti.
francesco zaffuto

(immagine – “alla ricerca della libertà” china © francesco zaffuto link Altre allegorie)

mercoledì 7 ottobre 2009

La Costituzione c'è

07/10/09

La Corte Costituzionale boccia il lodo Alfano
in base agli articoli 3 e 138 della Costituzione.


Perché il contrasto con l’articolo tre
Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.


Perché per questa materia è necessaria una procedura di revisione Costituzionale.

Art. 138.
Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.


A caldo da parte della compagine governativa arrivano dichiarazioni molto gravi:


GASPARRI - "La Corte, un tempo costituzionale, da oggi non è più un organo di garanzia, perché smentendo la sua giurisprudenza ha emesso una decisione politica, che non priverà il Paese della guida che gli elettori hanno scelto e costantemente rafforzato di elezione in elezione". Lo dice Maurizio Gasparri, presidente del gruppo Pdl in Senato, che aggiunge: "E' una giornata buia per i valori della legalità e che segna il tramonto di una istituzione che ha obbedito a logiche di appartenenza politica e non a valutazioni di costituzionalità.
http://iltempo.ilsole24ore.com/2009/10/07/1078543-gasparri_corte_costituzionale_organo_garanzia.shtml

BOSSI

«Se si ferma il federalismo facciamo la guerra, andiamo avanti non ci piegano» ha commentato Umberto Bossi. «Nemmeno lui (Silvio Berlusconi n.d.r.) vuole le elezioni anticipate - dice - L'ho trovato forte e questo mi ha fatto molto piacere, l'ho trovato deciso a combattere». Prima della sentenza Bossi aveva detto che in caso di bocciatura la Lega avrebbe trascinato in piazza il popolo. Il Pd aveva condannato le parole del leader della Lega considerando «inaccettabile la pressione di Bossi sulla Corte Costituzionale», definite «una intimidazione esplicita» alla Consulta.

BERLUSCONIBerlusconi: Consulta di sinistra, vado avanti. «Noi dobbiamo governare cinque anni con o senza il lodo, io non ci ho mai creduto» al fatto che il Lodo passasse «perché con una Corte Costituzionale con undici giudici di sinistra era impossibile che lo approvassero». «La sintesi qual è? - aggiunge Berlusconi - meno male che Silvio c'è, se non ci fosse saremmo in mano alla sinistra». Il premier parla di «magistrati rossi» e di «stampa controllata al 72% dalla sinistra, tutti gli spettacoli di approfondimento sono di sinistra» e aggiunge: «Il Capo dello Stato sapete da che parte sta». «Queste cose mi caricano e caricano gli italiani, via l'Italia e viva Silvio Berlusconi» ha concluso il premier.
http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=75885&sez=ITALIA

Speriamo che una nottata di riposo ristabilisca un minimo di buon senso.
La sentenza della Corte è una sentenza in diritto: il lodo Alfano aveva immesso un meccanismo automatico di sospensione dei processi pericoloso per l’Italia, indipendentemente dal fatto che interessava Berlusconi. Il Governo, se ha una sua maggioranza, continui pure a governare. Se il Governo cadrà, non sarà per questa sentenza e neanche per gli inviti a dimettersi di Di Pietro, può accadere per sfaldamento della sua stessa maggioranza e se aumenteranno gli assenti come è stato durante la votazione sullo scudo fiscale.
francesco zaffuto

(immagine “i cavalieri dell’a…a…apocalisse” fotocomposizione © liborio mastrosimone http://libomast1949.blogspot.com/ )

domenica 4 ottobre 2009

Uno Scudo fiscale molto... ma molto allargato

04/10/09
Il gioco delle assenze di maggioranza e opposizione ha determinato un’approvazione risicata, e mostra una opposizione agguerrita a parole e illogica nei fatti

Cronaca delle sequenze


Il governo pone la fiducia sullo scudo fiscale: si tratta della 25/a fiducia in 17 mesiIl Presidente Fini preannuncia che si voterà entro le ore 15 di giovedì primo ottobre per evitare la decadenza del decreto che deve essere promulgato dal Capo dello Stato entro sabato 3 ottobre.Nella stessa seduta alla Camera ci sono diverse assenze nella compagine dell’opposizione e in quella governativa.
Alla Conferenza dei capigruppo dell’1 ottobre, il presidente della Camera Gianfranco Fini, ha annunciato che la cosiddetta "ghigliottina", cioè il voto finale anche se il dibattito non fosse ancora concluso, si fa slittare alle ore 13 del 2 Ottobre, per permettere al decreto legge di essere approvato ed esaminato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano entro i termini di legge del 3 ottobre. La decisione di Fini sullo slittamento del voto al giorno 2 ottobre accoglie le richieste delle opposizioni che rivendicano la discussione sugli oltre duecento ordini del giorno presentati.

I capigruppo hanno tecnicamente il tempo di richiamare gli assenti ma il 2 ottobre si vota e si evidenziano questi dati:

270 voti a favore del decreto con lo scudo fiscale allargato al falso in bilancio
250 voti contro
solo 20 voti di scarto

L’ampia maggioranza di Berlusconi pare che sia in crisi sullo scudo fiscale, mancano all’appello della maggioranza:
31 deputati del PDL
4 deputati della Lega
2 astenuti: La Malfa e Guzzanti
Mancano anche 5 deputati del gruppo misto
A questa evidente mancanza di compattezza della maggioranza l’opposizione con dati di assenteismo inimmaginabili, anche perché poteva prendere dei provvedimenti tra l’1 e il 2 ottobre.
Orbene le assenze delle opposizioni sono
22 del PD
6 dell’UDC
1 Italia dei valori Per un totale di 29 + un errore tecnico del deputato Colombo

Dall’elenco pubblicato da Il Fatto Quotidiano 3/10/09 apprendiamo che gli assenti per l'opposizione erano addirittura 32: 24 PD: Argentin, Binetti, Bucchino, Capodicasa, Carra, Codurelli, D'Antoni, Esposito, Farina, Fioroni, Gaione, Ginefra, Giovanelli, Grassi, La Forgia, Lanzillotta, Madia, Mastromauro, Melandri, Misiani, Pistelli, Pompili, Porta, Portas. 7 UDC: Bosi, Ciccanti, Drago, Libè, Pisacane, Ruggeri, Volontè. 1 IDV: Misiti .
Bene, ci sarà stato anche qualche ammalato grave giustificabile, ma 32 ammalati grave di una opposizione che si mostrava agguerrita sono troppi.
Pare che l’opposizione non abbia voluto vincere questa partita sullo scudo fiscale, in un momento in cui la maggioranza mostrava difficoltà e dissapori. PERCHé?C’è forse una sottile condivisione delle misure del decreto o c’è una mano data in qualche modo al governo Berlusconi che ha mostrato difficoltà di tenuta?Passiamo ora all’atto di promulgazione di Napolitano. Il Capo dello Stato che ha la facoltà di rinviare alle Camere il decreto non lo fa; non intende usare questa sua prerogativa sullo scudo fiscale; non l’ha fatto con il Lodo Alfano e non l’ha fatto con la legge sugli stranieri. Considerato che il rinvio alle Camere è una prerogativa del Presidente della Repubblica, il non ricorrere a questa prerogativa nei fatti manifesta un sostanziale riconoscimento delle norme approvate.
di seguito i precedenti Post sui contenuti dello scudo fiscale
Post del 23 settebre 09 allargamento in Senato dello scudo fiscal al falso in bilancio
Oggi il provvedimento sullo scudo fiscale è stato approvato con un emendamento che allarga la possibilità di avvalersene anche a chi ha commesso dei reati, compreso il falso in bilancio. L’emendamento approvato solleva inoltre gli intermediari incaricati del rimpatrio dei fondi all’estero (banche) dall’obbligo di segnalazione ai fini dell’antiriciclaggio.
Tremonti sostiene che la misura darà effetti e benefici per le entrate fiscali e che non si discosta molto da provvedimenti di sanatoria passati; non ha voluto però avanzare delle previsioni sull’entità della cifra che potrebbe incassare lo Stato.
Nei fatti questo allargamento, condiviso dallo stesso Governo ed approvato in Senato, oltre al beneficio notevole sul piano fiscale introduce un beneficio sul piano penale e tende ad abbassare la stessa vigilanza in materia di riciclaggio. Pare volersi sancire il vecchio detto dell’Imperatore Vespasiano “pecunia non olet (il denaro non puzza)”; ma l’antico imperatore romano si riferiva al denaro incassato con le monetine dei cessi pubblici, questo denaro invece continua a puzzare di evasione fiscale e di reato.

segue il post che era stato inserito in questo blog in data il 18/07/09

Non “condono” bensì “scudo”. Con la parola “condono” si poteva pensare a qualcosa di già fatto, con la parola “scudo” pare essere di fronte a una novità.
Ma la parola “scudo” è ancora più evidente nel significato: “ti potrai mettere al riparo dai colpi del fisco nemico”.
La parola “scudo” si riferisce al riparo che avranno i latitanti fiscali: pagando l’imposta super ridotta si metteranno al riparo dagli accertamenti fiscali sull'omessa dichiarazione e sulla dichiarazione infedele. Potranno decidere di avvalersi di questo scudo fino al 15 aprile 2010 (potranno pensarci con calma e se i loro capitali li vogliono spostare in altre parti del mondo valuteranno le diverse convenienze).
Sarà del 5% l’imposta secca, (che si paga una volta e poi basta) per potere rimpatriare i capitali occultati all’estero nei cosiddetti paradisi fiscali.
In un primo momento pare si volesse con lo scudo porre riparo anche a reati più gravi, alla fine il Governo pare abbia scelto di limitarlo agli aspetti fiscali.
In pratica chi è sfuggito ad imposte del 30 o 40% ora potrà beneficiare per far ritornare i capitali di una imposta del 5%. Chi invece normalmente ha pagato le imposte del 30 e 40% potrà beneficiare del titolo di = Scemo.
Teoricamente i capitali occultati all’estero potrebbero venire rimpatriati, lo Stato avrebbe il beneficio di questo 5%, i patrimoni rientrerebbero nelle imprese con un flusso benefico per l’economia, i patrimoni entrando nei bilanci potrebbero generare nuove entrate fiscali per lo Stato. Questo ovviamente teoricamente; infatti, il gettito , vista la sua «assoluta imprevedibilità», come si rileva nella relazione che accompagna l'emendamento, è fissato a un euro. Tuttavia il Governo si aspetta un gettito intorno ai 3-3,5 miliardi.
Il ministro Tremonti ha ricordato che lo scudo fiscale, prima di diventare legge, dovrà avere il via libera dall'Europa. Vedremo cosa diranno gli altri, e se sono della stessa pasta del nostro Governo.
Tremonti ha detto che «il vero beneficio di questo provvedimento è chiudere la caverna di Ali Babà, perché è inutile fare finta di contrastare l'evasione fiscale, quando si lasciano aperti i paradisi fiscali». Ma questa misura dello “scudo” non è coniugata con la fine ai paradisi fiscali ed è ancora lontano un accordo sulla trasparenza bancaria a livello mondiale. Mentre l’essere umano che si sposta viene sottoposto a passaporto, visti, impronte digitali, per i capitali le porte sono sempre aperte e ci sono sempre paesi disposti ad ospitarli con tutti gli strumenti della segretezza.
francesco zaffuto
(immagine “mha!....boh!” fotocomposizione © liborio mastrosimone http://libomast1949.blogspot.com/ )

sabato 3 ottobre 2009

Libertà di pensiero e di stampa in Italia


03/10/09
Ma, esiste in Italia la libertà di stampa?

Oggi, 3 ottobre 09, giornalisti in lotta

Le motivazioni"Non è la prima volta che è stata necessaria la mobilitazione - scrive la Fnsi - ma oggi stiamo vivendo un attacco senza precedenti: disegni di legge bavaglio, azioni forti in sedi giudiziarie, continue invettive pubbliche dei potenti, a cominciare dal premier, contro giornali e giornalisti, considerati non graditi. Ogni ferita che il sistema dei media subisce determina un forte contraccolpo alla libertà di tutti. Sosteniamo i principi e i valori dell'articolo 21 della Costituzione e tuteliamo il diritto inalienabile di ogni cittadino a un'informazione libera, completa e plurale".

Motivazioni condivisibili; si tratta delle motivazioni del giornalismo italiano che vede nella espansione politica, oltre che economica, di Berlusconi un rischio di monopolio.
Ma se se si vuole veramente lottare per la libertà di pensiero e per la libertà di stampa queste motivazioni non bastano: la libertà di divulgazione del pensiero attraverso la stampa non può essere solo un riserva dei giornalisti professionisti, è una libertà di ogni uomo.
Nel nostro paese i giornalisti non debbono dimenticare i limiti imposti alla libertà di stampa con le norme che sono in vigore già dal 1948.
La Costituzione italiana con il suo articolo 21 così recita:
Art. 21.Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.

Nell’articolo 21 dopo l’affermazione generale di ampio respiro come: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.”, si passa a precisazioni su possibili limiti. Si prevede il sequestro anche in caso di “violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili”.Questa precisazione sui possibili limiti sarà tradotta successivamente in una visione ancora più restrittiva dalla legge n. 47 dell'8 febbraio 1948, dove vengono istituiti: l’Ordine dei giornalisti, l’obbligo di registrazione di ogni periodico al Tribulale e l’obbligo di indicare un direttore responsabile con la qualità di iscritto all’Ordine.
Nei fatti qualsiasi foglio di carta scritta, con su apposto un titolo, che viene periodicamente distribuito, deve avere un direttore responsabile iscritto all’Ordine dei giornalisti. Questo è lo stato delle cose nel nostro paese, nonostante tutte le manifestazioni sulla libertà di stampa dal ’48 ad oggi, nonostante la ventata libertaria del ’68, nonostante l’uso e l’abuso in politica della parola libertà.

In passato nel nostro paese c’è stato un referendum promosso dai Radicali per l’abolizione dell’Ordine e per realizzare un pieno esercizio di libertà per tutti i cittadini nella divulgazione di pensiero, informazioni ed opinioni. Quel Referendum del 1997 fu affossato dal silenzio degli stessi giornalisti, che in tanti non si schierarono per la libertà di stampa; non si raggiunse il quorum (votarono solo il 30% degli aventi diritto – il 65,5% disse Sì all’abrogazione).

Oggi, addirittura, ci sta in campo una proposta di legge Pecorella-Costa che vuole allargare i privilegi dell’Ordine ai siti internet e ai Blog.
E’ il caso, dopo questa giornata di lotta per la libertà di stampa del 3 ottobre 2009, che i giornalisti si ritengano in dovere di esprimersi per la libertà di espressione e di stampa per ogni uomo, perché fa parte di diritti di libertà inalienabili.
Allora No al monopolio di Berlusconi nelle televisioni
Ma anche No al monopolio dell’Ordine di Giornalisti sulla stampa periodica.
Ma anche No alla proposta Pecorella – Costa


francesco zaffuto
(immagine – “alla ricerca della libertà” china © francesco zaffuto link Altre allegorie)

venerdì 2 ottobre 2009

Fango e morte in provincia di Messina


02/10/09
si contano i morti seppelliti nel fango e si teme per i tanti dispersi
Una tragedia annunciata? Un cittadino di Gianpilieri ha scritto al quotidiano “La Repubblica” allegando delle foto dell’alluvione del 25 ottobre del 2007. “Già all’epoca – racconta il lettore – si parlò di disastro annunciato, ma per fortuna non vi furono vittime come invece in questo caso. Disastro annunciato perché la situazione morfologica di quelle colline e la speculazione edilizia degli ultimi 20 anni hanno reso la zona drammaticamente simile a quelle già teatro di tragedie in Campania nel recente passato e perché nonostante dell’ottobre 2007, la Regione non ha predisposto nulla affinché si mettessero in sicurezza le aree più a rischio. Anzi, quelle belle colline di macchia mediterranea che scivolano dolcemente verso il mare dello Stretto e che costituivano l'inizio della catena montuosa dei Nebrodi, sono state oggetto, proprio in questi due anni, dell’ennesima cementificazione selvaggia. Ovviamente, ogni estate da che mi ricordo, gli incendi facevano il resto. Che amarezza...”.
Quali considerazioni si possono trarre? Forse bisogna fare riferimento alle parole di Leopardi nella Ginestra, quando si rivolge all'uomo sordo agli avvisi che pure in qualche modo la natura aveva dato.
Magnanimo animale
Non credo io già, ma stolto,
Quel che nato a perir, nutrito in pene,
Dice, a goder son fatto,
E di fetido orgoglio
Empie le carte, eccelsi fati e nove
Felicità, quali il ciel tutto ignora,
Non pur quest'orbe, promettendo in terra
A popoli che un'onda
Di mar commosso, un fiato
D'aura maligna, un sotterraneo crollo
Distrugge sì, che avanza
A gran pena di lor la rimembranza.
(dalla Ginestra di Leopardi)
(immagine – “angoscia del futuro” cera e china © francesco zaffuto link Altre allegorie)