venerdì 29 gennaio 2010

I COMUNI e GLI ESATTORI - Le vicende di Tributi Italia

(immagine “se resta qualcosa” fotocomposizione © liborio mastrosimone http://libomast1949.blogspot.com/)

29/01/10
Il mancato riversamento di 90 milioni di euro di tributi
Il 27 gennaio il TAR del Lazio ha cancellato definitivamente la società Tributi Italia dall’albo degli esattori.

Ancora non è decollato il federalismo fiscale e i Comuni mostrano tutta la loro incapacità nel gestire la raccolta del pagamento di imposte e tasse. Quando si tratta di stabilire l’entità delle addizionali, ICI e TARSU, gli amministratori fanno la loro politica; ma quando si tratta di riscuotere materialmente i tributi preferiscono rivolgersi a TERZI, agli ESPERTI della riscossione, ai grandi GABELLIERI o come meglio si fanno chiamare grandi ESATTORI.


Questi esattori guadagnano un’esosa percentuale sull’entità delle tasse pagate dai cittadini; nel migliore dei casi si limitano a guadagnare l’esosa percentuale, in qualche caso ritardano notevolmente nei versamenti lucrando interessi in altri affari, e in qualche caso non versano più.
Ecco il caso della società Tributi Italia: ai primi di dicembre con notizie che sulla stampa, stranamente, hanno avuto poco risalto, si apprende che: comuni del calibro di Bologna, Bergamo, Bari, Cagliari, insieme a circa altri 500 comuni sparsi in tutta Italia si sono affidati alla Tributi Italia per incassare le imposte locali; detta società non ha riversato ai comuni qualcosa come 90 milioni di euro.
Il bubbone era venuto fuori da una denuncia a Nettuno (Roma), e con le successive indagini della Guardia di finanza che hanno portato, nell’aprile 09, all'arresto per peculato di Giuseppe Saggese, il patron di Tributi Italia, creatore di un sistema «a scatole cinesi» che nell'ultimo decennio gli ha consentito di avere rapporti (spuntando aggi molto alti sui riscossi per i comuni, fino al 30%).
http://rassegnastampa.mef.gov.it/mefeconomica/View.aspx?ID=2009120114355379-1

Il Governo corre subito ai ripari, e con una decisione del Ministero dell’economia, sospende dall’Albo degli esattori la società. La società Tributi Italia fa ricorso al TAR del Lazio.

Il 27 gennaio il TAR, con la sentenza numero 1009/2010 (presidente Luigi Tosti, consigliere estensore Silvestro Maria Russo, consigliere Giampiero Lo Presti), ha respinto il ricorso della società di riscossione avverso la cancellazione della stessa dall'albo dei soggetti abilitati alla riscossione.
La decisione del Tar, dunque, complicherà le attività di riscossione nei comuni dove nonostante tutto continuava ad operare la società esattrice. Il sindaco di Fasano, ad esempio, ha dichiarato: “Nei prossimi giorni valuteremo il da farsi – dichiara il sindaco Lello Di Bari - Non è escluso che ricorreremo all’affidamento temporaneo del servizio ad un’altra società esterna per poi decidere con calma il da farsi”.
http://www.gofasano.it/notizie/cronaca/il-tar-cancella-definitivamente-tributi-italia4279.html

La prima dichiarazione a caldo di Giuseppe Saggese (amministratore di Tributi Italia) è stata: «Abbiamo perso e tutto adesso diventa terribilmente difficile. E’ assurdo, perché avevamo le carte in regola per risalire la china, fare un piano di rientro e pagare i dipendenti. Adesso resta l’esile speranza del Consiglio di Stato. Ma il vero problema è che, cancellati dall’Albo, non possiamo fare il nostro lavoro».http://ilsecoloxix.ilsole24ore.com/p/levante/2010/01/28/AMXxyIKD-tributi_italia_boccia.shtml

La società Tributi Italia trascinerà nelle difficoltà i suoi dipendenti in tutta Italia, circa ottocento, che da già da qualche mese lavorano senza stipendio, e che si stanno organizzando sindacalmente prima di arrivare al pronunciamento del Tribunale fallimentare di Roma.http://www.riviera24.it/articoli/2010/01/29/77766/tributi-italia-incerto-il-futuro-dei-dipendenti-dellorefice-fisascat-garanzie-per-lavoratori

MA DOVE SONO FINITI I 90 milioni di euro incassati e mai versati? Si riuscirà a venire a capo di questo mistero o passeranno due anni e poi tutto, chissà, se ci sarà il processo breve, si sistemerà?????

Per fare un richiamo di memoria su quanto potenti possono diventare i gabellieri e quanto possano essere ammanicati con gli aspetti più perversi del potere vi consiglio di aprire questo link che richiama la storia dei fratelli Salvo
http://www.ecorav.it/arci/approfondimenti/scheda6/scheda6.htm

Ma i nostri comuni, sanno che esistono i computer?
Sanno che possono assumere un paio di impiegati comunali?
Sanno che possono costruire loro stessi un ufficio di riscossione?
Sanno che possono consorziarsi magari con un comune vicino?
Hanno valutato i costi di una riscossione in proprio in confronto alla percentuale richiesta dai gabellieri?
Vogliono costruire insieme ai gabellieri il nuovo federalismo fiscale?
francesco zaffuto

giovedì 28 gennaio 2010

Processo breve dal Senato alla Camera


28/01/10

Il Senato con 163 sì, 130 voti contrari e 2 astenuti ha licenziato il disegno di legge sul processo breve che ora naviga verso la Camera.



La legge sul processo breve avrà come conseguenze immediate quello di scaricare il presidente Berlusconi da alcune pendenze giudiziarie e, secondo la magistratura, anche quello di rendere nulli decine di migliaia di procedimenti.Secondo i sostenitori di questo disegno di legge, con questi dispositivi sul processo breve finalmente si sana la stortura della lungaggine dei procedimenti in Italia, e si viene ad applicare il dettato Costituzionale previsto dall’articolo 111.


Cosa dice l’articolo 111? Si esprime brevemente con questa dizione:

La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.


Possiamo dire che si tratta di una giusta interpretazione della Costituzione approvare un dispositivo che permette a dei cittadini indiziati, per reati che prevedono pene fino a 10 anni di reclusione, di restare senza alcun giudizio se sono passati due anni dall’inizio dell’azione penale?

Poi, si può intendere che la ragionevole durata, che l’art. 111 indica che deve essere “assicurata”, possa determinare l’eliminazione della stessa “giurisdizione”?

L’articolo 111 è un articolo di tutela del cittadino nel senso impositivo per gli obblighi dello Stato e non nel senso elusivo per gli obblighi dello Stato. L’articolo 111 è stato disatteso dallo Stato; per applicare questo articolo i governi, che si sono succeduti dalla promulgazione della Costituzione ad oggi , dovevano dotare gli organici della magistratura in modo sufficiente ed efficiente al fine di assicurare la ragionevole durata. Solo questa può essere la dovuta interpretazione per non far cessare la “giurisdizione” che è una prerogativa ed un obbligo dello Stato.

Lo Stato si regge su due elementi: assicurare l’ordine sociale ed assumere la funzione di arbitro nelle controversie e a seguito di delitti. Tutti gli altri elementi che si aggiungono sono sicuramente importanti ; ma la mancanza (o anche la debolezza) di uno dei due elementi essenziali può mettere in crisi lo Stato stesso.


DI SEGUITO - parti del POST inserito in questo blog il 14/11/09 con il titolo: "Libero uno liberi tutti"

La necessità del processo e i tempi

Per la giustizia è necessario un processo certo e giusto; se la brevità dei tempi di un processo determina il non svolgimento del processo stesso o un processo affrettato e ingiusto, si determina nei fatti una nuova e più grande ingiustizia. Un innocente ha il diritto a pretendere dalla collettività sociale un processo certo e giusto che lo scagioni delle imputazioni e che lo risarcisca per gli eventuali danni subiti. Un colpevole deve avere dalla collettività un processo certo e giusto che lo condanni a una pena proporzionale alla gravità del delitto commesso. La società ha necessità di sicurezza e giustizia; la sicurezza e la giustizia sono i cardini della vita sociale, un paese che non riesce ad assicurare un buon livello di sicurezza e di giustizia è un paese dove si può rompere ogni minima solidarietà sociale. Un processo certo, giusto e breve può essere assicurato solo se si mette mano alla riforma dei tribunali: ogni tribunale deve avere una dotazione organica sufficiente per l’amministrazione della giustizia; i giudici debbono lavorare a tempo pieno e non debbono svolgere nessuna altra attività lucrativa; vanno istituiti i necessari concorsi per l’assunzione di nuovi giudici e va rivista la carriera dei giudici stessi in modo che possa essere contenuta la spesa affrontata dallo Stato.

. La questione immunità non può confondersi con la questione processo breve Il bilanciamento dei poteri tra quello politico e quello giudiziario può trovare soluzione solo in leggi di natura costituzionale (questo argomento è stato esaminato su questo blog con il post Minzolini, Berlusconi, immunità, lodo Alfano, bila...nciamento dei poteri).

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Le malattie della giustizia Ma la giustizia è malata nel nostro paese, non sono solo per i processi lunghi, ma anche per: - l’elevato livello dei suicidi in carcere tra detenuti e tra le stesse guardie carcerarie;- il sovraffollamento delle carceri nonostante l’ultimo indulto. - le condanne a detenzione per reati lievi contrapposti alla liberazione per buona condotta di chi ha commesso omicidi; - i casi di morte nelle carceri come quelli di Cucchi e Bianzino; - le mele marce tra le forze dell’ordine (esempio caso Marrazzo), che sono poche ma minano la fiducia nelle forze dell’ordine. Non siamo di fronte ad eventi ineluttabili, siamo di fronte a malesseri sociali dove deve mettere mano il politico con la sua funzione di legislatore. Va rivisto il sistema delle pene, per i reati lievi vanno previste pene basate su lavori umili da prestare in forma obbligatoria e risarcitoria. Il sistema carcere è costoso per la collettività e spesso inutile ai fini del risarcimento sociale e ai fini della rieducazione. La galera va riservata ai reati più gravi e per i soggetti pericolosi sul piano della sicurezza sociale. Chi è stato arrestato o detenuto è sotto la responsabilità diretta dello Stato che esercita questa responsabilità attraverso le forze dell’ordine, le guardie carcerarie, e i giudici di sorveglianza. Lo Stato è chiamato per primo a rispettare le sue leggi. L’arrestato o il detenuto, avendo momentaneamente perso la sua libertà, ha la sua vita nelle mani dello Stato e lo Stato ne risponde per la sua incolumità e per ogni lesione alla dignità. E’ ora che nel nostro paese venga emanata una legge esplicita contro la tortura.

. Le riforme in materia di sicurezza e di giustizia comportano un costo. I problemi della sicurezza non si risolvono con la bacchetta magica delle ronde dei volontari. I problemi della giustizia non si risolvono senza un organico sufficiente di giudici. Il miracolo di operare una riforma in materia di sicurezza e giustizia non lo si può fare promettendo insieme l’altro miracolo della diminuzione delle imposte. Infine, per recuperare fondi per la giustizia si possono diminuire i costi della politica.

francesco zaffuto

. (immagine “coercizione” fotocomposizione © liborio mastrosimone http://libomast1949.blogspot.com/ )

martedì 26 gennaio 2010

Il giorno della memoria e la tragedia delle appartenenze


Quando in senso dell’appartenenza si insedia come un tarlo nella mente dell’uomo, al punto di non riuscire a riconoscere un altro uomo che gli sta di fronte, è sempre possibile un nuovo olocausto. Un grande popolo come quello tedesco perse il senno nel senso dell’appartenenza.
Oggi ci necessità una memoria attiva: approfondire la conoscenza delle radici storiche dell’antisemitismo che portarono alla Shoah per fare un passo avanti nella Storia e riconoscere ogni singolo uomo come portatore di un diritto universale alla libertà e alla pace.
Le tradizioni e le culture dei popoli sono vestiti da valorizzare al fine del riconoscimento dell’uomo e non per negarlo.
Nella terra che alcuni uomini chiamano Israele e alcuni uomini chiamano Palestina il ricordo della Shoah dovrebbe rafforzare tutti i tentativi di pace.
Noi europei che siamo stati coinvolti nella più grande guerra di tutti i tempi dobbiamo essere i messaggeri di questa necessaria utopia.
27/01/01 francesco zaffuto

lunedì 25 gennaio 2010

Brunetta tra giovani e pensionati



Con il suo intervento a "Domenica In - L'Arena", Brunetta ha sostenuto che agendo sulle pensioni di anzianità "si potrebbero trovare risorse che consentirebbero di dare ai giovani non 200 ma 500 euro al mese. Solo che una proposta del genere scatenerebbe le proteste dei sindacati, che sono quelli che difendono i genitori. Meno ai genitori e più ai figli". Brunetta ha poi spiegato che su questa proposta "è d'accordo anche Tremonti". Secondo il Ministro per la funzione pubblica "l'Italia è piena di giovani perbene, che rischiano e che vogliono la libertà. La colpa, se hanno la libertà tarpata, è nostra, dei loro genitori".
Poi la nota di Palazzo Chigi che prende le distanze dal Ministro''Palazzo Chigi precisa che quella del Ministro Brunetta è un'idea del tutto personale, una posizione mai concordata all'interno del Governo''.http://www.tgcom.mediaset.it/politica/articoli/articolo472029.shtml
Successivamente si scatenano tutte le prese di posizione di sindacati, e partiti di opposizione.

La questione non meriterebbe di essere esaminata, ma le frasi del Ministro poggiano su un luogo comune e lo stesso Brunetta ha voluto pescare consensi in questo luogo comune:“Le energie dello Stato sono spese per le pensioni di anzianità, se lo Stato risparmia sulle pensioni di anzianità si possono dare queste energie finanziarie ai giovani”.
Bene, attualmente dopo i diversi interventi legislativi è difficile andare in pensione di anzianità prima di 59 anni, ci arrivano quei lavoratori che hanno alle spalle 40 anni di contribuzione. Quindi si tratta di un fenomeno contenuto che andrà ancora di più a contenersi con i successivi scaglionamenti.
Ma facciamo l’ipotesi che decolli subito l’ipotesi Brunetta: nessuno in pensione prima di 65 anni e possibilità di rimanere in servizio anche fino 70 anni. Con i soldi risparmiati per l’erogazione di pensione un assegno di sopravvivenza ai giovani di 500 euro.
Vediamo i benefici che ne avrebbero i giovani:
- la permanenza nel lavoro fino a 65 anni, e oltre, impedisce che si liberano posti di lavoro stabili;
- globalmente si viene ad avere meno offerta di lavoro, e in particolare nei settori di lavoro impiegatizio (dove difficilmente gli aspiranti pensionati superano i 40 anni di contributi);
- i giovani continuerebbero ad avere lavori precari che impediscono una reale autonomia;
- l’assegno di sopravvivenza di 500 euro non è certo sufficiente a creare autonomia per un giovane disoccupato.
L’eliminazione delle pensioni di anzianità farebbe sì risparmiare soldi all’INPS, ma nel compenso aumenterebbe il disagio dei giovani che cercano un posto di lavoro stabile.
L’uscita dal lavoro nei fatti crea una condizione di minimo equilibrio, è un modo di applicare il criterio di “lavorare tutti, lavorare meno”, spalmato sull’intera vita lavorativa. Criterio che dovrebbe essere applicato anche:
- favorendo i lavoratori anziani verso forme di part-time;
- scoraggiando il ricorso agli straordinari
- diminuendo le ore di lavoro giornaliere
Tutte queste misure legate anche alla promozione del lavoro autonomo hanno la funzione di incrementare le offerte di lavoro, riducendo gli aspetti assistenziali.
La stessa assistenza alla disoccupazione dovrebbe essere ben modificata. Va eliminato il concetto stesso di assistenza e va istituita una forma di pagamento della disponibilità al lavoro legata alla iscrizione a liste di collocamento. Pagamento della disponibilità che verrebbe a cessare appena si crea un’occupazione o se si dichiara una indisponibilità alla presa di servizio.
Al criterio del “lavorare tutti, lavorare meno” va aggiunto anche il criterio del “guadagnare tutti, guadagnare meno”, e per rispondere a questo criterio che riguarda la spesa globale occorre anche ripensare allo stipendio del ministro Brunetta.
francesco zaffuto

immagine foto di Salvatore Carnevalehttp://it.wikipedia.org/wiki/Salvatore_Carnevale
Per affrontare un problema così grande come il problema dell'occupazione in Italia abbiamo bisogno di un grande sindacalismo, per questo la foto di Turiddu che per la sua generosa battaglia sacrificò anche la sua vita.
Dalla voce drammatica di Ignazio Buttitta, dopo avere aperto il link sottoriportato e cliccato sul simbolo della chitarra, potrete ascoltare la storia di Turiddu Carnevale. Un po’ difficile per chi non conosce il siciliano ma la voce del vecchio Ignazio riuscirà a comunicarvi il profondo stato d’animo.
http://www.irsap-agrigentum.it/cartcarnev.html
REAZIONI AI CONTENUTI DEL PRESENTE POST ANCHE SU:
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sabato 23 gennaio 2010

La Corte suprema USA e l’uomo con poche cose



23/01/01
La Corte Suprema USA (il 21/01/10) ha stabilito che non si può porre nessun limite alle “donazioni” delle aziende ai partiti durante le campagne elettorali. Per la Corte porre un limite significa violare il Primo Emendamento della Costituzione americana. La decisione dell'Alta Corte è stata presa a maggioranza: cinque giudici hanno votato a favore e quattro hanno votato contro.

Il primo emendamento della Costituzione USA così recita:
« Il Congresso non può fare leggi rispetto ad un principio religioso, e non può proibire la libera professione dello stesso: o limitare la libertà di parola, o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea, e di fare petizioni al governo per riparazione di torti »
I l primo emendamento della Costituzione USA vuole tutelare la libertà dei singoli nel loro associarsi ed esprimersi per influire sulla vita politica; ma se alcune centinaia di singoli, associati tra loro sulla base della loro potenza economica, sono molto più influenti di milioni di singoli, si viene a determinare una condizione di dominio.
Dato il carattere generale del primo emendamento, l’interpretazione assume un carattere molto vasto. In passato la stessa Corte aveva accettato un limite ai finanziamenti ed aveva interpretato il primo emendamento in modo completamente diverso. La sentenza odierna, di fatto, spazza via dieci anni di tentativi di porre limiti alle donazioni delle aziende. Un vibrato dissenso è stato espresso perfino da un giudice repubblicano moderato, John Paul Stevens (scelto da Gerald Ford nel 1975). Stevens ha definito «un grave errore» equiparare la libertà di espressione dei cittadini con quella delle grandi imprese o associazioni d'imprese. Per Stevens «la sentenza rappresenta un cambiamento radicale della legge e ignora la volontà della grande maggioranza dei giudici che, negli anni, hanno servito la Corte».In un suo intervento l’ex senatore Bob Kerrey ha usato un esempio: l'influenza che una società unica come Exxon Mobil potrebbe esercitare nei settori dell'energia e sul clima. "With $85 billion in profits during the 2008 election, Exxon Mobil would have been able to fully fund over 65,000 winning campaigns for US House or outspend every candidate." Con 85 miliardi di dollari di utili, Exxon Mobil sarebbe stato in grado di finanziare completamente oltre 65.000 campagne vincenti per la Camera degli Stati Uniti.
La Sentenza pone in evidenza le difficoltà che avrà Obama per proseguire il suo cammino; un fiume di dollari sicuramente si opporrà per un sua rielezione alla fine del mandato.
Ma questa sentenza pone ancora una volta, a livello di tutta la società occidentale, la questione dell’autonomia della sfera politica da quella economica. La sfera economica riesce a condizionare quella politica con i suoi finanziamenti diretti e indiretti nelle campagne elettorali, nella fondazione e nel sostegno ai partiti, e nel sostegno a singoli candidati. Il caso italiano di un intervento diretto in politica di un grande imprenditore è stato imitato recentemente in Cile, ma a prescindere da un intervento diretto le capacità di condizionamento restano estremamente forti per determinare gli indirizzi in politica economica.
L’unico antido di contrasto a questa grande capacità di influenza delle grandi aziende monopolistiche sono gli organismi sindacali dei lavoratori; nei fatti in passato le grandi organizzazioni sindacali hanno esercitato la loro influenza in decisioni economiche con la minaccia di esercitare un indirizzo di voto verso la massa dei loro associati. Oggi questo stesso antidodo è fortemente in declino perché la massa degli associati agli organismi sindacali è influenzabile sul piano politico dalle campagne dei massmedia. L’associato a un sindacato nei suoi comportamenti elettorali tende a non seguire le indicazioni sindacali e si lascia spesso condizionare dalle interpretazioni della cosiddetta “opinione pubblica”. Lo stesso sindacato, per evitare di perdere propri iscritti, cerca di limitare al massimo le sue esplicitazioni in momenti elettorali. Di conseguenza le esplicitazioni sono fatte da giornali, TV, e altri organismi di supporto pubblicitario, che trovano il finanziamento nelle forti lobby di finanzieri e industriali. La stessa grande crisi dei delle componenti politiche della cosiddetta “sinistra” è da individuare in queste nuove dinamiche prevalenti.
Il cosiddetto finanziamento pubblico ai partiti voleva costruire una autonomia della sfera politica da quella economica. In Italia, contrariamente agli esiti referendari, si è andati verso questa strada: i candidati eletti godono di appannaggi considerevoli e i partiti godono di un rimborso delle cosiddette spese elettorali misurati sulla base di una somma procapite in ragione dei voti ottenuti. Ma a queste decisioni normative di finanziamento pubblico non si è accompagnata una normativa sufficiente in merito al conflitto di interessi. Di conseguenza alla politica arriva un finanziamento pubblico e permane, attraverso finanziamenti più o meno occulti, tutta l’influenza della sfera economica.
Oggi, lo stesso Obama indica che la concentrazione bancaria in USA ha portato a costruire un sistema perverso. Noi in Italia scontiamo le conseguenze di una concentrazione economica di banche, di settori industriali, e di televisioni.
Non è facile emanare dispositivi che riescano a garantire insieme libertà dei singoli e autonomia della sfera politica, in un contesto dove l’accumulo di ricchezza può arrivare a livelli spropositati. E’ una strada difficile, ma solo percorrendo questa strada difficile possiamo arrivare ad un qualche risultato che riconosca dignità e libertà all’uomo che vive di poche cose.
francesco zaffuto

(immagine “uomo con poche cose” acquarello © francesco zaffuto link Uomo con poche cose)

venerdì 22 gennaio 2010

Crocefisso e tribunali



22/01/10

Il giudice Tosti, che si era rifiutato di emettere sentenze in un’aula dove era esposto il Crocefisso, è stato rimosso dal CSM dalla sua funzione di giudice.
per la notizia
http://www.corriere.it/cronache/10_gennaio_22/csm-rimozione-giudice-tosti-crocefisso-aula_152fed4c-0753-11df-8946-00144f02aabe.shtml
Il mio commento laico è fuori discussione: si tratta di un provvedimento che contrasta con la visione laica dello Stato e con la nostra Costituzione.
Ma voglio aggiungere anche un mio commento libero di uomo che ha un grande rispetto per la figura di Cristo che ci tramandano i vangeli.
Che senso ha mettere il Crocefisso nelle aule di un tribunale dove si applica ordinariamente la giustizia di uno Stato? Cristo fu trasportato in catene da Caifas a Pilato, fu Crocefisso per volontà di una legge umana che non seppe comprendere il suo messaggio.
Nel Vangelo c’è chiarezza quando si dice:
"Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio",
Il Vangelo, inoltre, indica un comportamento che va ben al di là dei comportamenti normati dalle leggi.
«Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato» (Luca 6,37). Giacomo scrive: «Chi sei tu che ti fai giudice del tuo prossimo?» (Giacomo 4,12).
Per rispetto al Crocefisso sarebbe meglio distinguere ciò che è luogo culto da ciò che è luogo di ordinaria amministrazione della giustizia. La Croce esposta nei tribunali sembra volere comunicare che il giudice sia ispirato da quella Croce quando emette i suoi giudizi, ma non è così: si limita ad interpretare leggi umane a volte sbagliate ed a volte sbaglia anche nell’interpretarle.
Le tradizioni si possono cambiare per creare ponti di comunicazione e di rispetto tra gli uomini, e ciò non credo che contrasti con lo stesso messaggio del vangelo
Lasciamo tutta l’evocazione mistica della Croce nei luoghi di culto, nelle cappelle e nei Calvari.
francesco zaffuto
(immagine – “Monte Calvario- case mute” tecnica mista © francesco zaffuto)
SEGNALAZIONI
Un lettore mi ha segnalato la precisazione che segue, inserita su

Il motivo risiede in un vecchio Regio Decreto del 1929 o del 1930, che prevede che in ogni ufficio pubblico ci deve essere il crocefisso, la bandiera con lo stemma sabaudo e il ritratto del re. Ovviamente, gli ultimi due non ci sono più, e quindi resta il crocefisso. Ma nel 1930 non c'era la nostra Costituzione, che con i suoi principi abroga di fatto quella legge (risposta da Antonio Rispoli)

giovedì 21 gennaio 2010

Apprendistato a 15 anni in sostituzione dell’obbligo scolastico



21/01/10
Si parla per quasi quaranta anni di “Riforma della scuola”, di percorsi formativi dopo la scuola media inferiore, di biennio unico o di biennio diversificato, si mette in campo una riforma complessa delle superiori e degli istituti professionali che sta cominciando a decollare; poi un tal Cazzola, appoggiato dal ministro Sacconi, presenta un emendamento al “disegno di legge sul lavoro” collegato alla Finanziaria e dispone che a 15 anni si può completare il biennio di istruzione obbligatoria semplicemente con un apprendistato presso una falegnameria.

Il provvedimento che è stato approvato ieri dalla Commissione lavoro della camera, approderà lunedì in Aula a Montecitorio, per poi tornare al Senato per il via libera definitivo. Intanto viene condito da dichiarazioni di questo tipo: Cazzola , «la norma consente di contrastare l’evasione dell’obbligo scolastico che è molto diffusa nell’ultimo anno»; Sacconi, “Non si tratta per nulla di anticipare l’età di lavoro, ma di consentire il recupero di un giovanissimo demotivato a seguire gli altri percorsi educativi attraverso una più efficace modalità di apprendimento in un contesto lavorativo»; Marcegaglia, «Chi lascia la scuola deve continuare ad avere formazione” . Non tarda ad arrivare il commento del ministro Gelmini, che non si sente spogliata delle sue competenze in materia scolastica, e dice: “Sono favorevole a qualsiasi iniziativa per inserire subito i giovani nel mondo del lavoro”. Ma Sig. Ministro si tratta di ragazzini di 15 anni. E’ così grave il ritardo se aspettiamo di inserirli a 16 anni? E’ così problematico se cerchiamo di inserire nel lavoro prima quelli che in questo momento hanno 18 anni e che stanno a spasso? Allora bando alle ciance; con l’approvazione di questo emendamento si è voluto ribadire che:
1) la scuola è incapace di formare le nuove generazioni, specie se queste nuove generazioni intendono rivolgersi al lavoro manuale;
2) la cosiddetta formazione culturale, come imparare la Lingua italiana e la Storia, è completamente inutile, e può bastare la formazione che si riceve ascoltando qualche spettacolo televisivo;
3) non è coniugabile la formazione della scuola con esperienze lavorative e si preferisce sostituire la scuola con il solo apprendistato in un’azienda;
4) chi si avvia a un lavoro manuale, meno sa e meglio è; avrà meno grilli per la testa.
Infine, si vogliono perseguire due effetti considerati benefici:
- per il Governo avere meno studenti e di conseguenza meno insegnanti a cui dare uno stipendio;
- per le aziende, inquadrare giovani a livelli retributivi più bassi rispetto al lavoro effettivamente svolto, e godere di forti sgravi contributivi con le norme sull’apprendistato.

Il ragazzo di 15 anni, demotivato o motivato verso lo studio, è un ragazzo in formazione che spesso non sa che cosa vuole, è in quella età di mezzo che a volte si vive drammaticamente. La scuola gli permette di pensare ancora un po’ sulle sue scelte e nel frattempo gli può dare qualche strumento formativo. Il giovane demotivato non diventa un criminale, signor Sacconi, perché demotivato verso lo studio ma perché c’è tanta criminalità in giro. Spesso abbiamo problemi di consumo di droga tra giovani che lavorano, e la possibilità di avere in tasca qualche soldo in più, ad una età poco appropriata, favorisce anche certi consumi.
Se vogliamo aiutare i giovani nella fascia di età tra 14 e 16 anni, miglioriamo la loro esperienza scolastica anche per l’aspetto culturale in generale; per quei giovani che si sentono orientati verso il lavoro facciamo in modo che possano fare durante il periodo scolastico alcune brevi esperienze formative in aziende che veramente vogliono investire nella formazione. Da sedici anni in poi si può cominciare con l’apprendistato per chi non vuole continuare negli studi; a sedici anni si è abbastanza giovani. Nel contempo, una società che vuole crescere, deve investire sulla formazione permanente anche degli adulti, perché sono tanti i giovani che poi in età più matura vorrebbero dedicare una parte del loro tempo alla ripresa degli studi.
Riguardo poi al cosiddetto biennio, di cui tanto si è discusso nel nostro paese senza approdare a una soluzione, va riconosciuta una dignità per lo studio svolto; un attestato di riconoscimento delle esperienze scolastiche che il giovane potrà vantare di avere raggiunto.
francsco zaffuto
(immagine - Raffaello - La scuola di Atene)

sabato 16 gennaio 2010

terremoto di Haiti, una ginestra potrà salvarci

Ci giungono le immagini del terremoto di Haiti; è difficile contare i morti (forse 200.000) ed è impossibile misurare il dolore.


Solo l’umana solidarietà può cercare di lenire il dolore dei sopravvissuti e tentare di ricominciare a costruire una speranza. Verso Haiti si stanno spostando aiuti da ogni parte del mondo, non so se basteranno ma c’è stata una corsa di aiuti da tanti stati del mondo.

Gli uomini, distrutti dalle forze della natura, toccano con mano la debolezza di essere uomini; tutta la loro presunzione sembra essere messa in ginocchio.

Gli uomini che continuano a farsi guerra per le appartenenze e che non riescono a regolare il loro progresso inquinante, hanno di fronte la natura che li ignora; la terra ribolle di magma e si assesta in nuove colline e monti.

Nella sua riflessione alle falde del Vesuvio, Leopardi indicava all’uomo la metafora di un fiore, la Ginestra e chiedeva all’uomo di comportarsi come quel fiore: liberarsi dalla presunzione sciocca, evitare nuove dolorose contese, comprendere la propria miseria, essere solidali, ricominciare a costruire la bellezza e la speranza.
francesco zaffuto

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La mobilitazione di aiuti per Haiti
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QUELLO CHE NON VI SENTITE DIRE SU HAITI (E CHE INVECE DOVRESTE CONOSCERE)http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=6673
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HAITI – come noi abbiamo preparato la catastrofe umana
http://domani.arcoiris.tv/?p=3524
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19/01/10 Difficoltà nella gestione degli aiuti ad Haiti
http://www.apcom.net/newspolitica/20100119_192001_4ac6cf0_81147.html

(immagine – “ginestre verso il Parnaso” foto © maria luisa ferrantelli)

lunedì 11 gennaio 2010

L’effetto aliquote al 23 e 33 per cento


Cosa abbiamo per cena stasera? Due aliquote IRPEF del 23 e del 33 per cento, osserva bene nel piatto.
11/01/10

Con la disoccupazione in crescita, con il lavoro nero incontrollato che arriva a portare squilibri umani come quelli di Rosarno, l'ordine delle priorità doveva essere la riforma del welfare; e invece cominciano a parlare di riforma delle aliquote dell'IRPEF.
Anche sul piano fiscale la questione che era rimasta in sospeso era quella dell'IRAP; almeno sterilizzare quell'imposta dagli effetti del costo del lavoro, ed in invece si parla di IRPEF.
Ci sono le elezioni in arrivo: il welfare interessa circa il 10% o il 15% cento degli italiani (tra disoccupati, cassaintegrati, precari e lavoratori in nero), l'IRAP riveste un carattere di urgenza per un po’ di imprenditori in difficoltà; le aliquote IRPEF, invece, interessano tutti, la totalità degli italiani votanti che quotidianamente si lamentano per l’esosità delle imposte.
Il presidente Berlusconi, che pur in convalescenza sempre conta, fiuta l’aria delle prossime elezioni regionali, e decide con il suo intervento di spostare l'asse dei discorsi su un argomento che interessa tutti.
Si ripete la strategia delle ultime elezioni politiche, quella sull'ICI per la prima casa: era un'imposta che interessava tutti ed è stata tolta a tutti.
L’effetto della eliminazione dell’ICI sulla prima casa è stato:
- chi aveva un vecchio monolocale ha avuto un beneficio x;
- chi aveva cinque stanze in centro città un beneficio x+100;
tutti accontentati allo stesso modo e tutti hanno votato allo stesso modo.
Ora con l’effetto dell’annuncio di sole due aliquote per l’IRPEF tutti gli italiani votanti cominceranno a fare i conti. Cadrò nel 23 o cadrò nel 33? Ma che bello evito il 37!
Quando si fondò questa Repubblica si scrissero poche e chiare parole in materia di imposte e sono riportate nella Costituzione:
Art. 53.
Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.


Concorrere tutti in ragione della loro capacità contributiva, insieme al criterio della progressività, significa chiaramente che: il povero deve pagare anche lui qualcosa, un x; e i ricco deve pagare un x+100.
L’imposta IRPEF, per il suo carattere di imposta diretta sul reddito, è quella che può essere meglio regolata sull’effettiva ricchezza del cittadino; a differenza dell’IVA che è un’imposta sui consumi che grava anche sui generi alimentari e di prima necessità e che non tiene conto della ricchezza.
Se l’IRPEF, che è l’imposta base del sistema impositivo italiano che si può proporzionare alla effettiva ricchezza, viene articolata secondo la logica di Berlusconi abbiamo gli italiani divisi in tre fette:
- gli italiani poveri esonerati dal pagamento dell’IRPEF ed anche esonerati da ogni lamentela; ai quali si potrà dire “ma stai zitto te, lo sai quanto pago di tasse io”;
- la grande massa degli italiani al 23%; ben omologati in una strana eguaglianza dove chi guadagna 20.000 euro l’anno è uguale a chi ne guadagna 70.000.
- e la fetta di quelli del 33%; i ricchi finalmente salvati dalla mannaia delle imposte al 37 e 40 percento.
Non è questa la strada della giustizia impositiva, contribuzione di tutti e progressività comportano il ricorso a un ventaglio di aliquote che deve tenere conto dei vari stadi di ricchezza. Chi ha un reddito di poche migliaia di euro non è certo danneggiato se paga un 5% di IRPEF e può dirsi come tutti gli altri partecipe della contribuzione (tanto il suo esonero è solo fittizio perché paga l’IVA su ogni bene che acquista). Chi ha un reddito di 20.000 euro non può ricadere di punto in bianco nell’imposta del 23%, è giusto che la sua aliquota sia inferiore rispetto a chi ha redditi di 30 – 40 – 50 mila euro. L’assurda e finta semplificazione berlusconiana nei fatti va a colpire i redditi più bassi a vantaggio di quelli più elevati.
Sbagliano quelli che pensano che la riforma proposta da Berlusconi sia solo di fumo negli occhi, perché inapplicabile considerato che lo Stato ha necessità di incassare. Dal punto di vista delle entrate fiscali lo Stato si può reggere lo stesso perché ci sono tutte le altre imposte, IVA e bolli vari, e poi c’è il grande miracolo atteso: decollerà la magia del “Federalismo fiscale”, lo Stato delegherà alle Regioni e ai Comuni una capacità impositiva su case, auto, rifiuti ecc. ecc. ecc.. Con la tanto odiata IRPEF si incasserà di meno, ma gli incassi deriveranno da una pletora di imposte locali.
Se gli italiani si lamentano solo delle “tasse” , ed evitano di fare una riflessione concreta sui meccanismi delle imposte, continueranno a farsi del male.
francesco zaffuto

post collegati
Tanto rumore sull’IRAP, ma...

Lavoro e disoccupazione

(immagine “la mano nel piatto” fotocomposizione © liborio mastrosimone http://libomast1949.blogspot.com/)
LINK di aggiornamento sull'argomento
Nuove dichiarazioni alla stampa di Berlusconi: "Nessuna riduzione delle tasse"

sabato 9 gennaio 2010

Stranieri nella scuola italiana


Il ministro Gelmini – tetto del 30% di stranieri per un una singola classe – nuovi corsi di alfabetizzazione per la lingua italiana ma senza nuove risorse.

09/01/10

All’inizio di settembre in questo blog avevo messo in rilievo che in alcune scuole di Roma e di Milano esistevano situazioni di questo tipo
alla Lombardo Radice di Milano 93 iscritti stranieri su 96 (solo tre italiani)
alla Carlo Pisacane di Roma 178 iscritti stranieri su 184 (solo sei italiani).
Nel post di settembre lamentavo l’assenza di disposizioni ministeriali in materia, oggi finalmente una qualche assunzione di responsabilità.
L’8 gennaio il ministro Gelmini ha emanato una nota di indicazioni operative (nei fatti la nota è firmata da uno dei suoi primi dirigenti il dott. Mario G. Dutto) dove si danno indicazioni sulla composizione delle classi per l’anno scolastico 2010-2011 in merito all’inserimento di alunni stranieri. Cerco di riassumere in breve le novità:
- tetto del 30% di norma per alunni con cittadinanza straniera in una singola classe;
- al limite può derogare solo il direttore scolastico regionale e solo se tra gli studenti stranieri ci sono competenze linguistiche nella lingua italiana;
- il limite può essere ridotto se gli studenti stranieri nella classe presentano competenze molto inadeguate nella lingua in riferimento alle necessità didattiche;
- l’inserimento sarà accompagnato da corsi di alfabetizzazione nella lingua italiana a vari livelli, da tenere in parallelo con l’attività scolastica.
La nota ministeriale del dott. Dutto è ben articolata e relativamente ai corsi di alfabetizzazione fa riferimento alla cosiddetta quota di flessibilità dell’autonomia scolastica del 20%, ai progetti mirati, ai moduli, a iniziative pomeridiane, ed anche a corsi propedeutici nei periodi giugno/luglio/settembre. Nei fatti tutta l’esperienza del dott. Dutto è stata messa in campo per dire che bisognerà fare riferimento alle sole risorse che la scuola ha in questo momento e che non ci saranno risorse finanziarie aggiuntive. A questo punto non si capisce come si può fare il miracolo.
Va bene l’assunzione di responsabilità in merito alle indicazioni sull’inserimento, ma non potranno certo decollare corsi aggiuntivi senza qualche risorsa aggiuntiva. Alla fine pare che il carico se lo debbono assumere gli insegnanti. Ma gli insegnanti il carico se lo erano già assunto e non potranno fare nuovi miracoli.
francesco zaffuto

il testo integrale della nota ministeriale su

http://www.edscuola.eu/wordpress/?wpfb_dl=62


Segue il post di settembre

13/09/09
Un Governo senza strategie di integrazione scolastica
e tutto il peso grava sugli insegnanti

700 mila circa gli studenti stranieri (la comunità più numerosa quella romena con 93.000 studenti, la regione con la più alta presenza di stranieri la Lombardia circa 130.000.

I casi di scuole con una percentuale di stranieri maggioritaria sono stati evidenziati dal Corriere della sera dell’11 settembre 09, in particolare:
alla Lombardo Radice di Milano 93 iscritti stranieri su 96 (solo tre italiani)
alla Carlo Pisacane di Roma 178 iscritti stranieri su 184 (solo sei italiani).

Cosa sta succedendo? Non ci sono più bambini italiani che si scrivono a scuola?............

Nei fatti i genitori italiani fanno di tutto per iscrivere i propri figli in scuole pubbliche dove la percentuale degli emigranti extracomunitari è bassa e se non ci riescono si rivolgono a scuole private. Razzismo? Forse un qualche elemento di razzismo esiste; ma soprattutto esiste la preoccupazione per una didattica che potrà subire dei rallentamenti per la presenza di diversi problemi di integrazione.
In quanto all’integrazione degli stranieri i ministri che si sono succeduti (prima Fioroni e ora la Gelmini) hanno fatto ben poco: nessuna strategia. La strategia delle classi differenziali è stata bocciata perché si dice che produce classi ghetto, ma nei fatti i ghetti si sono prodotti spontaneamente; l’altra strategia quella delle quote non è decollata e presenta difficoltà di gestione sul territorio.
Nei fatti ben poco è stato deciso in materia di strategia didattica da parte del Governo, si sono caricati presidi e insegnanti di responsabilità di governo di un fenomeno in espansione diminuendo nel contempo le stesse risorse. Classi dove sono presenti diverse etnie e diverse origini linguistiche che diventano ancora più numerose per numero di alunni grazie alle ultime finanziarie.
Ai docenti viene chiesto il miracolo dell’integrazione linguistica e culturale. Spesso i docenti i miracoli li fanno, ma i rischi di declino della scuola pubblica sono reali.
L’inserimento nelle classi degli studenti stranieri deve essere appoggiato con interventi di supporto per affrontare le difficoltà relative all’apprendimento della lingua italiana. Le azioni di supporto debbono essere differenziate a seconda se trattasi di inserimento in prima elementare o in classi successive. Le azioni di supporto necessitano di un tempo previsto nel calendario scolastico e di insegnanti utilizzabili per tali specifici interventi. Le scorciatoie sono nei fatti una mancanza di governo del problema; danneggiano gli studenti stranieri che non riescono ad apprendere i contenuti delle diverse discipline e danneggiano gli studenti italiani per un tendenziale rallentamento della didattica. Si può fare la scelta di classi differenziali, come si può fare la scelta delle quote per classe, ma in ogni caso gli studenti stranieri vanno seguiti nel buon apprendimento della lingua veicolare. La responsabilità del fare scuola è dei docenti ma ricade sul Governo la responsabilità del gestire il fenomeno complesso dell’integrazione degli studenti stranieri.
francesco zaffuto
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(immagine “insegnante” polvere di pino © francesco zaffuto link Volti)

venerdì 8 gennaio 2010

Immigrati tra buonismo e persecuzione



Buio essere nel Buio: quando il giorno entra in occhi



08/01/10
A Rosarno, in provincia di Reggio, il sette gennaio : centinaia di auto distrutte, cassonetti divelti, ringhiere di abitazioni danneggiate, contusi e feriti dopo una sassaiola. A far scoppiare la rivolta pare siano stati degli spari con un fucile ad aria compressa, esplosi da alcuni balordi, nei confronti di due lavoratori stagionali .
Emerge una realtà che la politica del nostro paese vuole volontariamente ignorare: un popolo di circa 2000 persone, quasi tutti africani, che dall’inizio di novembre viene impiegato nella raccolta delle clementine in Calabria, che in marzo si sposta in Campania per la lunga stagione dei pomodori, e, infine, approda in Puglia in settembre per le olive. Un popolo che vive accampato in baracche e in edifici abbandonati in condizioni di estrema precarietà vitale. Il lavoro che svolgono è ovviamente in nero: venti o 25 euro al giorno e spesso a pagarli è un capolarato colluso con la ‘ndrangheta” o con la “camorra” a seconda dei territori dove si spostano.
Questi lavoratori fantasma sono odiati da una parte della popolazione che li vede come nemici che determinano la difficoltà a trovare impiego stagionale per gli italiani e concorrono ad abbassare le paghe per questi lavori saltuari. Nei fatti questi lavoratori immigrati determinano ricchezza per i proprietari terrieri e per il capolarato, sono super sfruttati e senza alcuna garanzia.

I lavoratori immigrati che lavorano in nero sono una realtà diffusa su tutto il territorio nazionale, li troviamo in piccole fabbriche marginali della Lombardia e del Veneto, in quasi tutti i cantieri edili d’Italia, in tante imprese di pulizia.
Si dice che gli immigrati fanno il lavoro che gli italiani non vogliono fare, ma ciò è solo parzialmente vero: padroni, padroncini e caporali che assumono in nero preferiscono dare lavoro ad un immigrato perché è disponibile a lavorare con paghe ridotte e spesso è disponibile anche a lavorare in precarie condizioni di sicurezza.


In Italia sulla questione immigrati la politica oscilla tra il buonismo e la persecuzione.
Gli ultimi dispositivi normativi messi in campo dal Governo su pressione della Lega sono stati propagandati come il massimo della rigidità contro i clandestini: la clandestinità è stata considerata reato e l’affitto di case agli immigrati irregolari è stato considerato come favoreggiamento di un reato.
Ma il nodo del problema è il lavoro nero: diffuso nel nostro paese tra clandestini, tra immigrati regolari e tra gli stessi italiani.Il lavoro nero è una specie di terza economia nel nostro paese, tutti i politici ne parlano male da tanti anni, e nessuno si vuole assumere la responsabilità politica di mettere in campo dei dispositivi normativi per contrastarlo. I dispositivi normativi debbono essere necessariamente rigidi prevedendo delle penalità scoraggianti per i datori di lavoro in nero; la mancata dichiarazione dell’assunzione anche per un solo giorno di un lavoratore deve essere considerata reato. Non si possono perseguitare i disperati,vanno ostacolati quelli che si arricchiscono sulle loro spalle.
Occorre anche avere il coraggio di affrontare i meccanismi del collocamento al lavoro, non si può accettare che il collocamento sia fatto arbitrariamente da privati al di fuori di ogni controllo. I comuni debbono farsi promotori di uffici di collocamento per tutti i cittadini ed in particolare per gli stessi immigrati che debbono poter accedere al lavoro attraverso uffici di lavoro pubblici.
Solo con un lavoro liberato dai meccanismi di ricatto si può cominciare ad affrontare il problema dell’immigrazione nei giusti termini di integrazione. Altrimenti rischiamo di dare fette di territorio alle mafie locali e incrementiamo i fenomeni di razzismo.
Della eliminazione del lavoro nero ne trarranno un sicuro beneficio i lavoratori italiani, l’intera collettività per gli aspetti fiscali (poiché dietro il lavoro nero si nasconde la fetta più cospicua dell’evasione), gli stessi immigrati che potranno valutare le condizioni del loro soggiorno in Italia in modo chiaro e alla luce del sole.
Pare che la classe politica nel nostro paese sia in gran parte ostaggio delle componenti sociali che sul lavoro nero hanno trovato possibilità di arricchimento o si è adagiata per pigrizia mentale su una prassi consuetudinaria . Esiste una specie di ricatto strisciante per la politica che si manifesta con la paura delle conseguenze economiche negative che si possono ipoteticamente determinare con l’eliminazione dell’economia in nero. Le conseguenze possono essere solo positive se il problema si affronta con qualche misura appropriata sul piano dei contributi sociali e sul piano fiscale.
Il sindacato deve assumere il coraggio di farsi principale artefice di questa battaglia: lavoro nero, precariato diffuso e disoccupazione sono la cancrena del nostro paese.
francesco zaffuto

post collegato

Lavoro e disoccupazione


(immagine – “buio_book - Buio essere nel Buio: quando il giorno entra in occhi ” © arianna veneroni http://www.flickr.com/photos/arive11/ )

mercoledì 6 gennaio 2010

Il pane, lo spreco e le colpe


06/01/10


E’ bastata un’inchiesta del Corriere della Sera sullo spreco del pane a Milano ed è venuto fuori un pullulare di dichiarazioni di intellettuali e cardinali.
L’inchiesta del Corriere è consultabile alla pagina web
http://www.corriere.it/cronache/10_gennaio_03/pane_buttato_9daa83c8-f842-11de-bb47-00144f02aabe.shtml

L’inchiesta metteva in risalto soprattutto quello che accade a Milano: il pane in rimanenza che viene buttato dagli stessi fornai poiché diventa pane raffermo ed invendibile il giorno successivo.
I negozi dei fornai a Milano sono delle specie di boutique del pane, trovare il pane comune è quasi impossibile, il prezzo per le diverse tipologie spesso supera i sei euro al chilo.
Comprare il pane nelle boutique del pane è un lusso, la maggior parte delle famiglie milanesi per sopravvivere cercano di comprare il pane nei supermercati e guardando con attenzione il prezzo al chilo (poiché anche nei supermercati è facile superare i 4 euro al chilo). In pratica a Milano (e credo in molte città d’Italia) ci sono due fette di popolazione: quella che compra il pane come nutrimento e quella che compra il pane per “sfizio” (scegliendo tra dieci o venti gusti e forme). Nonostante il pane sia fatto sempre e solo di farina , il cui costo non va oltre i 40 centesimi di euro, i fornai riescono, con il miracolo della manipolazione artistica a portare il pane perfino ad 8 euro al chilo.
I fornai di Milano il pane preferiscono buttarlo e ben si guardano di abbassare i prezzi; basterebbe che abbassassero i prezzi verso sera e molto di quel pane potrebbe entrare nel consumo delle famiglie milanesi. Nei fatti la scelta di buttare il pane fatta dai fornai milanesi è una scelta consequenziale alla volontà di tenere elevato il prezzo dello stesso pane.


La maggior parte degli interventi di intellettuali e cardinali sono stati incentrati sulla colpa dello spreco delle famiglie in generale e sulla fame nel modo come se il mezzo panino finito nella spazzatura fosse la causa diretta della fame nel mondo.

Il mezzo panino salvato dal sacco nero non si trasforma immediatamente in un aiuto al terzo mondo per sollevarsi dalla fame. Sono necessari altri elementi: chi ha risparmiato sul pane deve in qualche modo fare arrivare le sostanze di quel risparmio ai diseredati (altrimenti il risparmio è solo a beneficio del suo reddito) e gli organismi statali di questi accorti consumatori debbono comportarsi in modo coerente sul piano degli aiuti internazionali.


Gli aiuti internazionali per affrontare il problema della fame nel mondo non possono tradursi nel fare arrivare i rimasugli di una sovrapproduzione di beni di consumo (quasi avariati) in quei paesi. Il terzo mondo non potrà sollevarsi con i nostri rimasugli donati in modo caritatevole. I paesi del terzo mondo hanno necessità di aiuti immediati indipendentemente dal lento cambiamento dei nostri stili di vita ed hanno la necessità di avviare una loro produzione e una loro autonomia sul piano tecnologico. Questi interventi rivestono un carattere di urgenza e pare che di questa urgenza non ci vogliamo far carico, lo dimostrano gli scarsi risultati dell’ultimo convegno della FAO a Roma.

post di questo blog : Porco mondo o mondo cane, deludenti i risultati de...l convegno Fao di Roma


Dobbiamo tener conto altresì che il maggior carico della fame nel mondo lo creiamo in Africa con gli atti di rapina delle multinazionali , basta guardare il caso del Delta del Niger.

La questione di una educazione per evitare gli sprechi è sicuramente utile e rilevante, perché la produzione cerealicola se non viene in qualche modo limitata e cadenzata nel tempo porta a un impoverimento delle terre (un vecchio uso nelle campagne era quello di seminare un anno grano ed un anno fave per fare riprendere energia ai terreni).

Link dell’ intervista a Borlaug http://it.wikisource.org/wiki/La_fame_del_Globo/2

Ma l’educazione contro lo spreco non può essere improntata ad una episodica campagna di colpevolizzazione, deve diventare una sistematica campagna di educazione. Non ci vuole molto tra l’altro per cambiare il nostro stile di vita, basta dedicare un minimo di tempo e di attenzione alle cose che facciamo quotidianamente: non comprare pane in eccesso, quello che resta lo si può congelare e se diventa raffermo può essere utilizzato per gustose ricette. Le antiche casalinghe non buttavano certo il pane raffermo e in cucina si facevano dei veri miracoli del gusto: dalle polpette ai canederli, dalla panzanella alle minestre toscane. Basta scorrere su internet e trovare un’enorme quantitativo di preziose ricette.
francesco zaffuto

ricette sul pane raffermo
http://www.cucinare.meglio.it/pane_raffermo-p1.html

canederli

polpette di carne


http://www.cucinacalabrese.org/ccRicette/ccRicetteSchede/ccricettecarne/rca_polpettecarne.htm

polpette di melenzane
http://www.misya.info/index.php/2007/06/20/polpette-di-melanzane.htm

(immagine “spaventapasseri in campo di grano” acquarello © francesco zaffuto link Spaventapasseri)

domenica 3 gennaio 2010

Il ricordo di un secolo crudele



03/01/10



la bandiera rossa diventa simbolo proibito in Polonia
.
L’amico Vittorio Stringi (voce poetica della Sicilia http://www.vittoriostringi.it/ ), nel corso di una telefonata natalizia, mi ha sollecitato la riflessione che segue su un recente fatto emblematico: la bandiera rossa diventa simbolo proibito in Polonia.
La notizia risale al 28 novembre 2009, ma vale la pena di rifletterci sopra perché produrrà i suoi effetti nel 2010. Il presidente polacco Lech Kaczynski ha firmato l’emendamento al Codice penale che vieterà la produzione e diffusione, di simboli di propaganda delle idee comuniste. L’emendamento approvato dal Senato polacco prevede la pena di reclusione fino a due anni, la legge entrerà in vigore 6 mesi dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale.
Ecco l’articolo 256 del Codice penale polacco dopo l’emendamento di modifica.
Art. 256
§ 1. Tutti coloro che pubblicamente fanno propaganda per regimi fascisti o per ogni altro regime totalitario o lancino appelli all’odio su basi nazionali, razziali, religiose, sono soggetti a sanzioni, restrizioni e privazioni della libertà, fino a una pena di 2 anni.
§ 2. La medesima pena deve essere comminata a chi, allo scopo di propagandare, produrre, importare, affittare, immagazzinare, presentare, trasportare o inviare oggetti contenenti simboli descritti nel § 1 o recanti simboli comunisti.

La storia della Polonia nel novecento, prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale, è stata
caratterizzata da una particolare crudeltà, il suo territorio fu invaso dalla Germania di Hitler e dall'Unione Sovietica e spartito fra i due Stati aggressori sulla base del Patto Molotov-Ribbentrop. I due regimi totalitari e nemici tra loro, furono capaci di stabilire un patto provvisorio di pace per spartirsi la Polonia. Il paese soffrì quell’occupazione, ci furono più di 6 milioni di morti in quella guerra, metà dei quali ebrei polacchi.
Alla fine della guerra la Polonia si trovò suo malgardo nel blocco sovietico con un governo comunista, conobbe i cupi aspetti dello stalinismo, la morsa oppressiva si allento solo dopo il 1956; ma per una speranza di libertà la Polonia dovrà attendere gli anni ottanta e il movimento di "Solidarność".

La nuova norma del Codice penale polacco, che accomuna simboli del nazismo e simboli del comunismo, deriva sicuramente dal ricordo del novecento che è stato un secolo crudele.

Ma nazismo, fascismo e comunismo si possono considerare come se fossero la stessa cosa?
Credo che identificare il comunismo con la sola esperienza totalitaria dello stalinismo sia come identificare la storia della cristianità con la sola esperienza della Santa Inquisizione.

Il comunismo è un movimento molto complesso e di carattere universalista. Le pratiche comuniste affondano le loro radici in epoche lontane della storia dell’uomo: “Or tutti coloro che credevano stavano insieme ed avevano ogni cosa in comune. E vendevano i poderi e i beni e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. E perseveravano con una sola mente tutti i giorni nel tempio e rompendo il pane di casa in casa, prendevano il cibo insieme con gioia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo.” (Atti degli Apostoli, 2,44-47)

Se vogliamo considerare la parola comunismo facendo solo riferimento alla storia moderna, dobbiamo considerare in modo diverso l’apporto marxista da quello precedente degli utopisti (Babeuf, Saint-Simon, Fourier....); come nello stesso periodo di Marx non possiamo ignorare la posizione libertaria sostenuta da Bakunin; agli inizi del novecento non possiamo ignorare le divergenti posizioni di Lenin e Rosa Luxemburg; infine, non possiamo dire che Stalin e Trotsky siano la stessa persona.
La bandiera rossa e la falce e martello non hanno solo caratterizzato i comunisti, sono stati anche i simboli di socialisti e socialdemocratici che a partire dalla Seconda Internazionale si sono distanziati dal comunismo.

Riguardo all’analisi del totalitarismo esistono analisi accurate come quella di Hannah Arendt in Le origini del totalitarismo (1951); qui di seguito voglio solo esaminare, anche disordinatamente, alcune questioni in merito alle diversità, non per il tentativo di assolvere qualcuno dei totalitarismi ma per necessità di chiarezza.

Il comunismo marxista ha alla radice una affermazione come questa:
“Il comunismo è la dottrina delle condizioni della liberazione del proletariato [cioè di] quella classe della società che trae il suo sostentamento soltanto e unicamente dalla vendita del proprio lavoro, e non dal profitto di un capitale”. (Karl Marx e Friedrich Engels, Princìpi del Comunismo)La frase esplicita che lo stesso comunismo marxista si è ispirato a una giustizia egualitaria tra gli uomini; coltivava il desiderio di una società meno ingiusta e meno infelice.
Marx ed Engels non indicarono forme stataliste e lo stesso Lenin ipotizzò, in Stato e rivoluzione, la realizzazione del comunismo attraverso la dissoluzione dello Stato. Come è stato possibile che il marxismo-leninismo si sia trasformato in una dittatura statalista, violenta e totalitaria?
Credo che le motivazioni siano quattro almeno per le vicende accadute in URSS:
- la mancanza nella dottrina marxista-leninista di una centralità della libertà del singolo uomo, e, di conseguenza, la mancanza della necessaria coniugazione della libertà del singolo con le ragioni della lotta di classe;
- la scelta di Lenin del partito unico come motore di ogni elaborazione;
- la scelta successiva di Stalin di una impostazione totalitaria dell’intera società sovietica;
- l’accerchiamento iniziale di tutte le democrazie borghesi che giustificò all’interno dell’URSS un permanente stato di guerra

Nella società sovietica il politico comincia ad ingoiare tutto: ingoia la sfera economica, ingoia la sfera culturale, ingoia la libertà dei singoli. L’intera società si esprime nello Stato, lo Stato è ispirato dal partito, il partito ha un suo centro elaboratore di principi per tutti. Pur appellandosi alla lotta di classe si costruisce uno Stato depositario della lotta di classe che distrugge gli organismi sindacali e di rappresentanza, entra nella vita dei cittadini, annienta la libertà dei singoli sacrificando la libertà di pensiero sull’altare del progetto sociale della sazietà materiale. Il totalitarismo sovietico porta alla eliminazione di tutti i possibili nemici; con la costruzione di un sistema sociale sprovvisto di garanzie democratiche per le minoranze gli oppositori saranno completamente privi di ogni minima protezione e anche come singoli uomini non verranno più rispettati.
Il connotato aggiuntivo di questa tragedia è stato il culto della personalità del capo, il partito viene identificato con il suo leader, una specie di personificazione dello stesso centro motore del partito; e Stalin, il novello zar di tutte le russie, accetta questa personificazione, la protegge e l’amplifica, e in questo gioco si perde, i suoi tenebrosi timori diventano morte per i suoi avversari, il sospetto aleggia anche sui compagni più vicini che vengono trucidati, il sogno del comunismo si perde nel sangue di quei delitti. Eppure era un sogno di umana fratellanza.

I principi ispiratori del comunismo sono ben lontani da quelli del fascismo, ed anche rispetto al fascismo sono diversi i principi ispiratori del nazismo.

Il fascismo è un movimento moderno del novecento e nasce nel 1919. Il fondatore del fascismo, Benito Mussolini, vuole prendere le distanze dall’essere stato socialista e rivendica tutta l’originalità moderna della sua creatura. Lo stesso simbolo del fascio non fa certo riferimento alla storia del movimento operaio dei fasci siciliani, vuole ricordare la potenza di Roma. Il carattere non egualitario del fascismo è fuori discussione, disprezza ogni possibile egualitarismo in nome del valore dei migliori, disprezza la debolezza della democrazia. Il fascismo volle demolire l’egualitarismo comunista ma non volle valorizzare la libertà del singolo uomo; i cosiddetti principi astratti di una società da realizzare erano superiori alle libertà dei singoli.
Il fascismo ha una vocazione totalitaria fin dall’inizio, ma a differenza del comunismo non ingoia l’economico e fa dei patti con la cultura cattolica. Il partito unico, l’invadenza propagandistica nella vita quotidiana, l’organizzazione del consenso in ogni settore sociale, l’eliminazione di ogni garanzia per le minoranze, i divieti alla libertà di stampa, fanno sì che tale sistema sia da considerarsi totalitario. Rispetto al culto della personalità del capo il fascismo non ha problemi, nasce con incorporata tale cultura fino ad imporla come simbolo di virilità da imitare.

Il nazismo è anch’esso un movimento moderno del novecento, in parte si ispirava allo stesso fascismo, ma il nazismo aveva caratteristiche diverse. Il nucleo del pensiero razzista del nazismo era chiaramente esposto nel Mein kampf, programma politico che Hitler compose in collaborazione con Rudolf Hess nel 1924. I riferimenti al ruolo guida del popolo tedesco sono ben esplicitati, gli ebrei sono fin dal momento iniziale indicati come il male del mondo da estirpare insieme al comunismo, la democrazia è indicata come una forma di debolezza. Questo libro oggi può sembrare farneticante, ma fu letto da tanti che allora ne furono affascinati. Fino all'ascesa al potere di Hitler del 1933 furono venduti 287.000 esemplari. Nell'anno di ascesa vennero vendute ben un milione e mezzo di copie. Durante i dodici anni del regime circa 10 milioni di copie furono diffuse.
La vocazione totalitaria del nazismo si espresse subito affossando la democrazia in Germania, ma come il fascismo non ingoiò l’economico e la religione, cercò di porli al suo servizio. Il capo ebbe un carattere divinatorio, lo stesso saluto quotidiano fu un inneggiare al dio sole Hitler. Il regime si definì esso stesso totalitario e volle entrare nel fisico e nella mente degli uomini fino alla determinazione genetica di una nuova super razza.

Fascismo e nazismo si potrebbero per l’aspetto economico dello Stato definirsi come meno totalitari del comunismo staliniano: vanno al potere sulla base di un consenso popolare elettivo e successivamente eliminano gli strumenti elettivi, lasciano spazio alla libera iniziativa economica e cercano di farsi ben volere dalle autorità religiose; ma vogliono controllare gli uomini nei corpi e nelle menti e si cimentano in guerre di annessione e di distruzione catastrofiche. In particolare il nazismo porterà avanti il suo progetto di sterminio degli ebrei, dei rom, degli omosessuali, dei comunisti.

Se andiamo a confrontare i gulag di Stalin con i campi di sterminio nazisti troviamo elementi di orrore che sono simili. Se leggiamo il Mein kampf e lo confrontiamo con il Manifesto di Marx (o anche gli scritti di Lenin) troviamo delle grandi differenze.
Il fascismo e il nazismo sono due fenomeni del novecento; il comunismo lo troviamo come aspirazione incompiuta: nell’Utopia di Thomas More, nella La Città del Sole di Tommaso Campanella, nel modus vivendi dei primi cristiani e in quello di società primitive.

I risultati della Seconda guerra mondiale hanno posto la parola fine ai regimi fascisti e nazisti. Il comunismo reale dell’URSS è continuato a vivere dopo quella guerra. Dopo la morte di Stalin il sistema continuerà a sopravvivere, è un sistema troppo forte per finire con la morte del “piccolo padre”, ciò che è “casa” sopravvive a chi l’ha edificata fino a quando gli ultimi pilastri non cedono. Krusciov critica il “piccolo padre” per i delitti e continua con il suo schema socio-economico totalitario; lo stesso Krusciov viene messo da parte e dopo diverse alternanze al potere si arriva al definitivo tracollo del sistema. Il totalitarismo stalinista si era via via trasformato in un autoritarismo stanco e il socialismo reale mostrava di non essere riuscito a mantenere la promessa di quell’abbondanza di beni che avrebbe portato alla felicità. Negli anni ottanta la glasnost e la Perestrojka di Gorbaciov pongono fine ad un sistema già in decadenza

Il comunismo è stato predicato in Europa e nel mondo da grandi e piccoli partiti comunisti; anche quando era in vita Stalin parte del movimento comunista internazionale contestava la sua supremazia, ne sono stati un esempio i movimenti anarco-comunisti e quarta internazionalisti di ispirazione trotzkista. I grandi partiti comunisti europei, legati ideologicamente e politicamente all’URSS, sono stati accomodanti o silenziosi riguardo al totalitarismo stalinista. Non sono entrati in crisi dopo il rapporto Kruscev o dopo l’invasione dell’Ungheria o con la lettura delle vicissitudini dei gulag raccontate da Solženicyn; si sono sciolti come neve al sole dopo la caduta del muro di Berlino.

Cosa ci rimane a noi poveri esseri che siamo stati sfiorati dall’ombra tragica della Storia e che ancora, nonostante tutto, pensiamo e desideriamo una giustizia sociale che possa sollevare gli uomini dalla miseria e dallo sfruttamento? Il comunismo come fratellanza umana è realizzabile solo con la libera evoluzione della coscienza umana, le accelerazioni forzate determinano solo malessere. Va ricercato un sano operare politico verso la fratellanza, riconoscendo il valore di ogni singolo uomo e tenendo conto delle condizioni storiche ed economiche.

In questa fase iniziale del duemila il nostro pianeta è ormai diventato piccolo, e a me pare dominato da cinque questioni:
- la crisi economica originata negli USA, che ha rivelato che il capitalismo senza regole e senza interventi statali è fragile oltre che ingiusto con i più deboli;
- l’espansione della Cina che ha fondato un socilal-capitalismo autoritario, che si richiama al comunismo solo per il sistema partito, che lascia libero il massimo dello sviluppo capitalista e che non riconosce le libertà individuali;
- l’estrema miseria di alcuni paesi, molti dei quali in Africa, dove ancora oggi si può normalmente morire di fame e di sete senza che ciò possa creare rimorsi al nostro vivere quotidiano;
- il rapporto contraddittorio di tutti gli uomini con le sostanze del pianeta, dove il vivere per l’oggi ci fa distruggere fonti di sopravvivenza per le generazioni future;
- il disordinato correre verso radici antiche, religiose o di costume, non per ritrovare l’universalità dell’uomo ma per fare guerra ad un altro uomo.

Credo che ci occorra una via di mezzo.

Oggi tanti partiti sono in vario modo socialdemocratici, ma nessuno vuole pronunciare la parola socialdemocrazia come se fosse un tabù. Ma l’intervento dello Stato nell’economia in aiuto dello svantaggio sociale e senza l’eliminazione dell’iniziativa privata è riconducibile storicamente alla socialdemocrazia. Chiamare le cose con il loro nome favorisce l’eliminazione degli equivoci.
Questo non significa fare riferimento alla socialdemocrazia europea degli inizi del ventesimo secolo, così debole e incerta al punto di accettare le logiche della prima guerra mondiale.

Ci è necessaria una socialdemocrazia moderna ed improntata a nuove scelte di prospettiva: dove la libertà di pensiero nella sua libera espressione venga posta come elemento fondante della società, con un’economia mista dove gli interventi statali possano convivere con l’iniziativa privata; dove possano esistere dei limiti all’arricchimento attraverso aspetti normativi o fiscali; dove la disoccupazione non sia vissuta come disperazione, dove non si accetta di cedere fette del territorio dello Stato alla delinquenza organizzata, dove l’attenzione all’impatto ambientale abbia la dovuta cura per le generazioni future, dove l’impegno internazionale abbia come fine la pace ed anche la liberazione dell’uomo dalla fame e dalla miseria.

Ancora oggi nelle nostre società capitalistiche la sfera economica è così forte al punto da condizionare quella politica e quella culturale. Non possiamo, però, aspirare ad una società dove la sfera politica ingoia quella economica e quella culturale; e neanche ad una società dominata da sacerdoti che dettano le leggi. Equilibrio ed equidistanza tra le diverse componenti della società sono necessari per una sana vita sociale.
Ragionando nel merito della sfera politica, non possiamo dimenticare che la democrazia si basa sulla divisione dei poteri, sulle garanzie date alle minoranze, e sulle libertà individuali di ogni uomo. Se cominciano a flettere questi istituti di garanzia della democrazia il rischio di totalitarismo è sempre alle porte; il totalitarismo si potrà chiamare in vario modo ma è sempre nefando.
Proibire simboli e proibire parole non ci aiuta a liberarci dal totalitarismo e potrebbe portare a limitare gli istituti di garanzia della democrazia.

La libertà di pensiero nella sua libera espressione attraverso la stampa e attraverso le nuove modalità tecnologiche è il cardine per mantenere vitale la società ed è l’antidodo per tenere lontano l’autoritarismo e il totalitarismo. Nell’esercizio di questa libertà occorre saggiare ogni parola con scrupolo, per evitare che diventi sasso, per evitare che diventi un inutile sfoggio di una sciocca contesa, per farla diventare un utile frutto per la comprensione tra gli uomini.

francesco zaffuto

(immagine “si può rompere tutto” fotocomposizione © liborio mastrosimone http://libomast1949.blogspot.com/)


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