venerdì 12 giugno 2009

Referendum, che fare? ....ma! .... bho!


12/06/09
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Referendum, che fare? ....ma! .... bho!

I 3 quesiti

I primi due quesiti, 1 e 2, prevedono che il premio di maggioranza venga dato alla lista e non alla coalizione. I quesiti sono due perché uno vale per la Camera e l’altro per il Senato. I referendari si propongono con questi due quesiti di spingere l’Italia verso il bipartitismo, considerando tale sistema come il migliore dei mondi possibili.

Il quesito n. 3 si propone l’abrogazione delle candidature multiple. La possibilità di candidature in più circoscrizioni (anche tutte!) dà un enorme potere al candidato eletto in più luoghi (il “plurieletto”). Questi, optando per uno dei vari seggi ottenuti, permette che i primi dei candidati “non eletti” della propria lista in quella circoscrizione gli subentrino nel seggio al quale rinunzia. Egli così, di fatto, dispone del destino degli altri candidati. Un esempio macroscopico di cooptazione! E’ inevitabile che una tale disciplina induca ad atteggiamenti di sudditanza degli eletti con tale sistema.

Sgombriamo subito il campo dal condivisibile quesito numero 3. Il cittadino ha libertà di recarsi al voto referendario e prendere se vuole la sola scheda relativa al quesito numero 3 abrogando le candidature multiple
Gli effetti del premio di maggioranza alla listaRelativamente ai quesiti 1 e 2 che prevedono il premio di maggioranza alla lista, possiamo avere i seguenti effetti.

Votando sì: in effetti si viene a determinare che il maggior partito (anche con una percentuale risibile, purché più alta degli altri) otterrà una maggioranza premiale per governare. Sul piano dei fatti il potere di Berlusconi diventa più sicuro e incontrastato (o anche il potere incontrastato del leader del PD).

Votando no: rimane il testo della legge attuale. Il potere di Berlusconi resta, ma bilanciato dalla coalizione con la Lega lombarda (o anche il potere del PD bilanciato dai suoi alleati).

Astenendosi: si vengono ad avere gli stessi effetti del votare no, con più probabilità di fare vincere il no fidando su un’alta percentuale alta di astensioni; su tale possibilità punta la stessa Lega lombarda.

Un esempio del passato, la legge AcerboLa ricerca di affidare la governabilità incontrastata a un solo partito in Italia ha un lontano precedente storico che risale alla cosiddetta Legge Acerbo del 18 novembre 1923. Con tale legge Mussolini confidava di ottenere un premio di maggioranza in ogni caso. Il testo redatto da Acerbo fu presentato alla Camera: ogni lista poteva presentare un numero di candidati pari ai due terzi dei seggi in palio (si noti come, per assurdo, tale meccanismo fu spacciato per democratico in quanto garantiva di converso alle minoranze un terzo dei seggi dell'assise parlamentare, anche nel caso fossero scese al di sotto del 33% dei suffragi), cioè 356 su 535, e la lista che avesse ottenuto la maggioranza con una percentuale superiore al 25% dei voti avrebbe eletto in blocco tutti i suoi candidati. I restanti 179 scranni sarebbero invece andati alle liste rimaste in minoranza, che se li sarebbero suddivisi fra loro sulla base della vecchia normativa proporzionale del 1919. Dopo l’approvazione della legge Acerbo, nelle elezioni del 6 aprile 1924 Mussolini prese il 61,3% dei voti; per precauzione si era assicurato di vincere anche con il solo 25% e poi gli italiani lo hanno incoronato “dittatore” con un percentuale eccezionale.

Lo scenario attuale

La vittoria dei Sì ai quesiti 1 e 2 del referendum, nei fatti danno al maggior partito potere di governo, qualcosa di simile alla legge Acerbo, addirittura non viene stabilita neanche la soglia minima che deve raggiungere il maggior partito in termini percentuali . Cito una presa di posizione di Luciano Violante, che pur appartenendo al PD (partito che protende per i Sì) mette in luce gli aspetti deteriori della vittoria del sì. “L’attribuzione del premio di maggioranza alla sola lista vincente (invece che alla coalizione) renderebbe un solo partito, minoranza nel paese, in ipotesi con il 30 per cento dei consensi, titolare del 55 per cento dei seggi, alla camera e al senato e quindi padrone di tutte le istituzioni. Quel solo partito, Pdl o Pd, avrebbe nelle proprie mani il potere di eleggere il capo dello stato, di impossessarsi dei mezzi di informazione, di cambiare radicalmente, secondo le proprie convenienze, i regolamenti parlamentari e le leggi elettorali. Sarebbe una conseguenza insana per la democrazia. I sostenitori del voto favorevole obbiettano che anche oggi una coalizione che prende il 35 per cento dei voti potrebbe conquistare la maggioranza assoluta dei seggi; che, una volta approvato il referendum, si potrà riformare la legge elettorale; che si tratta della via obbligata per giungere al bipartitismo e comunque alla semplificazione del sistema politico.Sono obiezioni serie, avanzate da persone serie; ma non si tratta di obiezioni insuperabili. È certamente vero che anche oggi una coalizione con il solo il 30, 35 per cento dei voti potrebbe conquistare il 55 per cento dei seggi. Ma è una possibilità assai remota perché la coalizione di più forze comporta necessariamente (e nella esperienza ha comportato) il superamento di quella soglia; mentre il rischio sarebbe più vicino se il premio di maggioranza fosse assegnato alla sola lista vincente.In ogni caso, quando vince una coalizione, la pluralità dei partiti di maggioranza agevola il confronto dialettico e valorizza il ruolo del parlamento e del dibattito pubblico. La maggioranza assoluta di un solo partito, invece, nella situazione italiana produrrebbe un mostruoso accumulo di potere nelle mani di una ristrettissima oligarchia politica.”


Se dopo una ipotetica vittoria dei Sì non si va a una nuova ponderata legge elettorale, si determina solo un velenoso pasticcio.
Con una propaganda astensionista fatta in modo militante dalla Lega e da qualche altro partito è molto probabile che: o vincono i Sì o vince l’astensione, poiché i sostenitori del no saranno in pochi a votare per il referendum.
Far cadere gli effetti di una vittoria del Sì, considerato anche il particolare meccanismo referendario previsto in Italia, pare essere il meno peggio.

Il mito del bipartitismo

Il mito della democrazia bipartitica inglese ed americana ha spinto i referendari di Segni a questo nuovo referendum. Ma Gran Bretagna e USA non hanno certo costruito dal dopoguerra ad oggi delle società invidiabili e migliori della nostra; la società americana ha recentemente esportato una delle più grandi crisi economiche mondiali, i consensi tutti rivolti ai due grandi partiti non hanno scongiurato questa crisi. In Italia la lentezza governativa e il compromesso paradossalmente hanno determinato scelte meno drastiche, il liberismo reganiano non si è potuto realizzare in tutte nelle sue nefande conseguenze; alcune scelte liberiste degli stessi Prodi e Berlusconi hanno dovuto fare i conti con forze conservatrici che difendevano lo stato sociale.

Per i referendari tutto il danno viene visto nella mancata governabilità e nella litigiosità dei piccoli partiti. Certo se per piccoli partiti si intendono i potentati politici di Mastella o Dini, siamo di fronte a litigi per le poltrone; ma se i piccoli partiti rappresentano istanze esistenti nel paese il confronto tra queste istanze è necessario e serve per arrivare a decisioni più ponderate. Esistono raggruppamenti sociali come i verdi, i leghisti, i comunisti, i socialisti, le diverse componenti cattoliche, i radicali, che rappresentano reali istanze ed esigenze della società o sono frutto di antiche sedimentazioni storiche di un importante dibattito politico; la loro cancellazione impoverisce soltanto la società. Occorre trasformare il litigio in confronto virtuoso, in capacità di ascolto, solo così ci sarà un miglioramento. Concentrare tutto in due grandi calderoni partito non diminuisce la litigiosità, la trasferisce soltanto dentro i due grandi raggruppamenti.
Allora occorre arrivare a una riforma elettorale che permetta l’esistenza in Parlamento delle diverse componenti sociali e nel contempo riesca ad assicurare la governabilità, una tale alchimia è necessaria ed è possibile. Purtroppo le alchimie delle leggi elettorali non sono decise sulla base di studi per il miglioramento delle regole democratiche ma da calcoli di convenienza.

Ipotesi virtuale
Il bipartitismo non si può osannare e neanche demonizzare, in ogni caso il bipartitismo non va imposto con meccanismi elettorali che lo determinano come scelta obbligata, la stessa ipotesi di bipartitismo deve venire fuori da una verifica dell’elettorato attraverso le stesse elezioni. Una legge elettorale deve essere garante della volontà popolare, assicurare la governabilità e non schiacciare le minoranze.

Accademicamente e bizzarramente (poiché non detengo alcun potere di proposta) provo a delineare una possibile legge elettorale per valorizzare la volontà popolare e garantire la governabilità senza schiacciare le minoranze.

Un Parlamento con una sola Camera di 300 deputati (sufficiente per contenere la spesa pubblica).
150 deputati da eleggere con collegio uninominale, dividendo l’Italia in 150 collegi. Gli italiani di ogni singolo collegio verrebbero ad eleggere un loro rappresentante stimato a livello territoriale. Se si dividono gli attuali 50.341.000 elettori un deputato eletto nel singolo collegio uninominale verrebbe a rappresentare circa 335.000 elettori su base territoriale. Viene così fatto salvo il criterio di scelta dei cittadini del proprio rappresentante territoriale.
150 deputati da eleggere con collegio unico nazionale. Per la elezione dei 150 deputati con il collegio nazionale non si potrà dare la preferenza; la lista avrebbe la caratteristica di lista di governo e a quella lista che avrà ottenuto il maggior numero di voti sarà assegnata una percentuale non inferiore al 60% dei 150 deputati. Il capolista che avrà ottenuto il maggior numero di voti nel collegio unico nazionale sarà il nuovo capo di governo per tutta la legislatura (in caso di suo sfortunato decesso l’incarico lo ricoprirà il numero due della stessa lista). Per l’elezione dei 150 deputati non deve essere prevista alcuna soglia di sbarramento, e un deputato della minoranza potrà essere eletto con il quoziente proporzionale che si verrà a determinare con l’elezione del rimanente 40%.
Paradossalmente con questo sistema di potrebbe determinare che i 90 deputati eletti con il collegio unico nazionale della lista maggioritaria, sommati con quelli dei collegi uninominali possano non bastare per governare; ma si tratta di un caso estremamente difficile perché la lista che avrà una maggioranza su base nazionale avrà anche l’elevata probabilità di ottenere una considerevole rappresentatività nei collegi uninominali. Nel paradossale caso di mancata governabilità con i requisiti nazionali e territoriali è un bene ritornare al voto.
Un solo Parlamento, buttando alle ortiche l’ipotesi di un Senato delle Regioni che sarebbe solo in grado di aumentare i contrasti e i conflitti di competenza con la Camera; una sola camera, eletta con due criteri diversi, che dovrebbe comporsi unitariamente di un sola entità suprema con potere legiferante.

Ritorno alla realtàConsiderate tutte le mie più o meno bizzarre riflessioni; mi asterrò sui quesiti n. 1 e n. 2 e voterò Sì per il solo quesito n. 3 per abrogare le candidature multiple.
Riflessione aggiuntiva del 14/06/09
Ma, potrei non andarci per niente, in fin dei conti l'attuale sistema di voto nelle elezioni politiche nazionali non prevede neanche la preferenza.
Certo si potevano risparmiare un bel po' di soldi e far votare tutto il pacco il 7 giugno, ma il "grande stratega" Bossi ha considerato difficile dare le indicazioni di voto e di astensione contemporaneamente; ora con i ballottaggi tenterà di spiegare il tutto a un numero inferiore di votanti e non votanti.

francesco zaffuto

(immagine “mha!....boh!” fotocomposizione © liborio mastrosimone)

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