Con il post
Il quadro astratto della politica in Italia
si intendeva aprire una riflessione sul possibile cambiamento dello scenario politico e sul ruolo della sinistra. Inserisco oggi l’articolo che ho ricevuto con la newsletter dell’on. Afiero Grandi, Presidente Comitato SI alle energie rinnovabili NO al nucleare e segretario confederale CGIL.
Non c'è automatismo tra esito dei referendum e cambiamento del quadro politico
I referendum sono stati un modo per scrivere l’agenda politica e indicare un abbozzo di contenuti. Certo il referendum è per definizione abrogativo e quindi si presta malvolentieri a indicare una proposta politica compiuta, tuttavia è pur sempre l’occasione per dire con forza un No e se esistono le condizioni anche per abbozzare una possibile alternativa.
Ad esempio i 2 referendum passati al vaglio della Corte affermano con chiarezza che la privatizzazione della gestione dell’acqua non può essere la linea dominante e tanto meno imposta. Tanto più che questa strana privatizzazione verrebbe garantita dalla certezza della remunerazione che per chi crede al mercato è un’autentica stranezza visto che se remunerazione del capitale investito deve esserci dovrebbe essere il mercato stesso a consentirla. Altrimenti salta un’intera biblioteca di testi di economia tra cui quelli fondati sull’utilità marginale.
Nella promozione dei referendum entrano a pieno titolo, anche se non è detto siano state prevalenti, scelte di pressione politica sull’opposizione ancora frastornata dalla sconfitta del 2008. Probabilmente ci sono altre scelte politiche che hanno contribuito al risultato finale.
Probabilmente le perplessità, se non addirittura le resistenze, alla promozione dei referendum da parte di importanti settori dell’opposizione ha contribuito ad esaltare il ruolo che altri hanno svolto nella promozione e poi nella gestione dei referendum. Certo se si fosse arrivati fino alla fine con una separazione tra settori politici dell’opposizione e schieramento referendario la situazione sarebbe diventata effettivamente delicata. Ma non è stato così perché sia pure con difficoltà e problemi pian piano le forze dell’opposizione si sono schierate a favore dei quesiti referendari. Le ragioni sono tante e diverse per le singole forze politiche e tuttavia alla fine questo risultato è arrivato e questo, va detto con chiarezza, ha contribuito al buon risultato dei 4 referendum del 12/13 giugno.
C’è chi si è accodato, chi ha fatto buon viso a cattivo gioco, resta il fatto che senza queste decisioni più o meno spintanee non si sarebbe arrivati a questo enorme risultato. Proviamo a fare l’inverso: immaginiamo che le forze politiche di opposizione avessero almeno in parte resistito ad appoggiare i referendum. Tutto sarebbe stato più difficile. E’stato giusto muoversi per costruire uno schieramento politico di sostegno, il più largo e il più unitario possibile, politico e sociale. In realtà anche Fli e UDC hanno modificato parzialmente le loro posizioni sui 4 referendum nella fase conclusiva. In ogni caso chi ha invitato al voto si è schierato su una sponda favorevole ai referendum. E’ stato giusto o sbagliato lavorare per questo risultato ? Penso sia stato giusto, anche senza arrivare ad immaginare di essere stati decisivi nella scelta. Infatti ritenere giusta questa evoluzione e quindi lavorare per realizzarla comporta di riconoscere il risultato e di conseguenza di valorizzarlo.
La questione è di grande attualità, visto che oggi, dopo i risultati positivi per tutti e 4 i referendum, esiste la tentazione contraria di misconoscere il contributo dato dai partiti dell’opposzione al risultato finale. Non è la prima volta che accade. E’ comprensibile che qualcuno pensi di essere l’unico interprete autentico del risultato referendario. Quando le cose vanno bene accade sempre. Tuttavia non è così. Se i partiti avessero (tutti o in parte) dichiarato esplicimente la loro contrarietà avrebbero certamente pagato un prezzo pesante di consensi ma anche il quorum sarebbe stato a rischio e questo non avrebbe certo aiutato il risultato finale. Non dimentichiamo il valore perverso del coinvolgimento da parte del Governo del prof Veronesi nella Presidenza dell’Agenzia per la sicurezza. Obiettivamente era un colpo basso che segnalava che l’opposizione non era così compatta nel rifiuto del nucleare.
Ora si delineano 2 atteggiamenti, opposti ma entrambi non convincenti.
Il primo è quello di settori delle forze politiche eccessivamente propensi ad impadronirsi del risultato dei referendum, attribuendogli significati che vanno oltre quello che obiettivamente sono in grado di reggere. Per certi aspetti questo rivela che il significato di scelta politica dei referendum è tuttaltro che chiara proprio a quanti ci si sono dovuti misurare e a volte hanno semplicemente dovuto prendere atto che c’erano. Si potrebbe parlare di un certo grado di tatticismo.
Il secondo è che settori di movimenti diffusi nel territorio, che si sono seriamente impegnati nei referendum, forse maggiormente nel caso dell’acqua, sono portati a pensare di essere gli unici veri protagonisti del risultato, perfino negando l’evidenza del ruolo di altri, del resto confermato da un numero di voti molto vicino per tutti e 4 i referendum. In sostanza ci si ritrova di fronte al frutto avvelenato della divaricazione tra direzione politica e (presunti) rappresentati.
Tra elezioni amministrative e referendum cè un nesso, senza dubbio. Entrambi – ad esempio - segnalano che nel paese c’è una voglia di novità. Ma non c’è una continuità assoluta e definita, né tanto meno ne deriva automaticamente la conseguenza politica, pure auspicabile, come la fine effettiva del berlusconismo. Non basta dire che c’è una spinta in questa direzione. La spinta c’è ma non è sufficiente per ottenere il risultato.
Il fatto stesso che malgrado tutti gli sconquassi politici, giudiziari ed elettorali il Governo continui a rastrellare una maggioranza in parlamento non va sottovalutata. Il fatto che parlamentari continuino a sentirsi coinvolti nel cercare di non fare naufragare la nave prima della scadenza naturale è pur sempre il segnale che nel paese è montato qualcosa di importante e nuovo ma non al punto da costringere con la pressione dell’opinione pubblica a mollare la presa.
Quindi i referendum hanno contribuito a gettare le basi di una possibile novità politica ma non c’è un automatismo che porta alle conseguenze auspicate: al cambio di quadro politico. Per arrivarci occorre crearne le condizioni e la condizione necessaria è che almeno gran parte dello schieramento dei referendari si riconosca nella proposta politica dell’opposizione attuale.
Alfiero Grandi www.alfierograndi.it
Ad esempio i 2 referendum passati al vaglio della Corte affermano con chiarezza che la privatizzazione della gestione dell’acqua non può essere la linea dominante e tanto meno imposta. Tanto più che questa strana privatizzazione verrebbe garantita dalla certezza della remunerazione che per chi crede al mercato è un’autentica stranezza visto che se remunerazione del capitale investito deve esserci dovrebbe essere il mercato stesso a consentirla. Altrimenti salta un’intera biblioteca di testi di economia tra cui quelli fondati sull’utilità marginale.
Nella promozione dei referendum entrano a pieno titolo, anche se non è detto siano state prevalenti, scelte di pressione politica sull’opposizione ancora frastornata dalla sconfitta del 2008. Probabilmente ci sono altre scelte politiche che hanno contribuito al risultato finale.
Probabilmente le perplessità, se non addirittura le resistenze, alla promozione dei referendum da parte di importanti settori dell’opposizione ha contribuito ad esaltare il ruolo che altri hanno svolto nella promozione e poi nella gestione dei referendum. Certo se si fosse arrivati fino alla fine con una separazione tra settori politici dell’opposizione e schieramento referendario la situazione sarebbe diventata effettivamente delicata. Ma non è stato così perché sia pure con difficoltà e problemi pian piano le forze dell’opposizione si sono schierate a favore dei quesiti referendari. Le ragioni sono tante e diverse per le singole forze politiche e tuttavia alla fine questo risultato è arrivato e questo, va detto con chiarezza, ha contribuito al buon risultato dei 4 referendum del 12/13 giugno.
C’è chi si è accodato, chi ha fatto buon viso a cattivo gioco, resta il fatto che senza queste decisioni più o meno spintanee non si sarebbe arrivati a questo enorme risultato. Proviamo a fare l’inverso: immaginiamo che le forze politiche di opposizione avessero almeno in parte resistito ad appoggiare i referendum. Tutto sarebbe stato più difficile. E’stato giusto muoversi per costruire uno schieramento politico di sostegno, il più largo e il più unitario possibile, politico e sociale. In realtà anche Fli e UDC hanno modificato parzialmente le loro posizioni sui 4 referendum nella fase conclusiva. In ogni caso chi ha invitato al voto si è schierato su una sponda favorevole ai referendum. E’ stato giusto o sbagliato lavorare per questo risultato ? Penso sia stato giusto, anche senza arrivare ad immaginare di essere stati decisivi nella scelta. Infatti ritenere giusta questa evoluzione e quindi lavorare per realizzarla comporta di riconoscere il risultato e di conseguenza di valorizzarlo.
La questione è di grande attualità, visto che oggi, dopo i risultati positivi per tutti e 4 i referendum, esiste la tentazione contraria di misconoscere il contributo dato dai partiti dell’opposzione al risultato finale. Non è la prima volta che accade. E’ comprensibile che qualcuno pensi di essere l’unico interprete autentico del risultato referendario. Quando le cose vanno bene accade sempre. Tuttavia non è così. Se i partiti avessero (tutti o in parte) dichiarato esplicimente la loro contrarietà avrebbero certamente pagato un prezzo pesante di consensi ma anche il quorum sarebbe stato a rischio e questo non avrebbe certo aiutato il risultato finale. Non dimentichiamo il valore perverso del coinvolgimento da parte del Governo del prof Veronesi nella Presidenza dell’Agenzia per la sicurezza. Obiettivamente era un colpo basso che segnalava che l’opposizione non era così compatta nel rifiuto del nucleare.
Ora si delineano 2 atteggiamenti, opposti ma entrambi non convincenti.
Il primo è quello di settori delle forze politiche eccessivamente propensi ad impadronirsi del risultato dei referendum, attribuendogli significati che vanno oltre quello che obiettivamente sono in grado di reggere. Per certi aspetti questo rivela che il significato di scelta politica dei referendum è tuttaltro che chiara proprio a quanti ci si sono dovuti misurare e a volte hanno semplicemente dovuto prendere atto che c’erano. Si potrebbe parlare di un certo grado di tatticismo.
Il secondo è che settori di movimenti diffusi nel territorio, che si sono seriamente impegnati nei referendum, forse maggiormente nel caso dell’acqua, sono portati a pensare di essere gli unici veri protagonisti del risultato, perfino negando l’evidenza del ruolo di altri, del resto confermato da un numero di voti molto vicino per tutti e 4 i referendum. In sostanza ci si ritrova di fronte al frutto avvelenato della divaricazione tra direzione politica e (presunti) rappresentati.
Tra elezioni amministrative e referendum cè un nesso, senza dubbio. Entrambi – ad esempio - segnalano che nel paese c’è una voglia di novità. Ma non c’è una continuità assoluta e definita, né tanto meno ne deriva automaticamente la conseguenza politica, pure auspicabile, come la fine effettiva del berlusconismo. Non basta dire che c’è una spinta in questa direzione. La spinta c’è ma non è sufficiente per ottenere il risultato.
Il fatto stesso che malgrado tutti gli sconquassi politici, giudiziari ed elettorali il Governo continui a rastrellare una maggioranza in parlamento non va sottovalutata. Il fatto che parlamentari continuino a sentirsi coinvolti nel cercare di non fare naufragare la nave prima della scadenza naturale è pur sempre il segnale che nel paese è montato qualcosa di importante e nuovo ma non al punto da costringere con la pressione dell’opinione pubblica a mollare la presa.
Quindi i referendum hanno contribuito a gettare le basi di una possibile novità politica ma non c’è un automatismo che porta alle conseguenze auspicate: al cambio di quadro politico. Per arrivarci occorre crearne le condizioni e la condizione necessaria è che almeno gran parte dello schieramento dei referendari si riconosca nella proposta politica dell’opposizione attuale.
Alfiero Grandi www.alfierograndi.it
Un mio breve commento:concordo con la riflessione di Grandi, l’unica perplessità è in quel riconoscersi “nella proposta politica dell’opposizione attuale”. Mi pare che in questo momento manca la proposta politica o almeno non è chiaramente esplicitata; in ogni caso la proposta politica non può essere il solo sostitutismo alla compagine berlusconiana basato su una alchimia tra la sinistra e forze di centro. Considerata la complessità delle forse della sinistra e del centro forse occorre partire da un’agenda delle cose da fare, e visto che non è facile definire anche un’agenda almeno sviluppare ricerca dibattito nei prossimi mesi del 2011.
Lo scenario della sinistra è composito, allego una riflessione del mio amico il sociologo Alessandro Mantione reperita su facebook.
Riflessioni sul futuro della sinistra!!Il PSI assieme a SEL si definiscono partiti e movimenti di sinistra. Il PSI lo è sempre stato storicamente, e SEL si definisce tale. Il PD non è un partito di sinistra, chiamarsi Partito Democratico, non significa molto, tutte le associazioni devono avere uno statuto democratico, ma storicamente molti iscritti provengono dalla sinistra. Poi ci sono partiti vari che si definiscono comunisti, ma non lo sono, non pensano alla rivoluzione, non pensano ad un'economia pianificata, al partito unico etc..Ci sono anche movimenti in ascesa pluritematici e associazioni varie alla ricerca di rappresentanza politica. Se lo scenario è questo si può lavorare per una sinistra democratica, socialista e alternativa, di opposizione e poi di governo?
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Immagine – Kandinsky - Composizione
Immagine – Kandinsky - Composizione
Non posso che condividere le tue riflessioni. Oggi, dopo tanto tempo, ho sentito alla radio una proposta del PD nella giunta romana, riguardo la pubblica sicurezza. Proposta propositiva, diciamo. E io non ho mai votato PD, tra l'altro. servirebbe proprio un cambiamento. Intenso, profondo. Reale.
RispondiEliminaIo quando vado a votare mi esprimo sperando in un cambiamento politico invece.
RispondiEliminaServe un cambiamento che non sembra per nulla vicino.
RispondiEliminaManca sì la proposta politica, ma manca anche il grande sogno (fattibile) perché ci hanno disabituati a sognare e ci hanno costretti a vivere alla giornata.
RispondiElimina@Alessandro Mantione
Il PSI sempre stato di sinistra? Anche ai tempi di Craxi, De Michelis, Cicchito e compagnia?
Il Psi storicamente nasce come partito di sinistra, attualmente aderisce al PSE, molti militanti, iscritti e simpatizzanti sono di sinistra. Ma la mia riflessione è di più ampio respiro e vuole sottolineare la possibilità-necessità di una sinistra unita e forte in una coalizione più ampia , unità per partecipare alla formulazione del programma in modo significativo e poi eventualmente per realizzarlo!!!
RispondiEliminaRiflessioni più che giuste!
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