martedì 20 dicembre 2011

Articolo 18, quale totem


Non possiamo certo dire che il mercato del lavoro in Italia sia andato bene dalla nascita della Repubblica ad oggi. L’Italia si è caratterizzata per il suo Sud e per un mercato di lavoro nero ampiamente diffuso per tutto il territorio nazionale. Quando il 14 maggio 1970 fu approvata la legge n. 300, conosciuta più comunemente come "Statuto dei diritti dei lavoratori", si diede vita al più importante testo normativo, dopo la Costituzione, sui diritti dei lavoratori. Si doveva andare avanti con un vero welfare capace di tutelare lo stato di disoccupazione; si doveva andare avanti per superare la piaga del lavoro nero ed invece ci si fermò; e gradualmente si passò da un sindacalismo di lotta e propositivo a un sindacalismo soddisfatto e concertativo. Sul finire degli anni ottanta e nei successivi anni novanta, l’essere concertativi produsse cose nefande: per il collocamento al lavoro la legge 28 febbraio 1987 n. 56 e la legge 23 luglio 1991 n. 223, con cui fu abrogato l'obbligo della richiesta numerica alle imprese, concedendo dapprima l'assunzione su richieste nominative per la metà degli assunti, estesa poi per intero a tutti; alla fine il 1º ottobre 1996 si arrivò alla completa liberalizzazione del sistema delle assunzioni abolendo anche l'obbligo della richiesta preventiva. Mentre l'avviamento al lavoro fu sostituito dalla selvaggia legge della domanda e dell’offerta, il tessuto sociale si andava costantemente modificando con l’arrivo di flussi migratori di lavoratori di paesi europeizzati e di paesi extraeuropei; nel contempo l’affermarsi del mercato globalizzato con aziende italiane pronte ad emigrare all’estero con i propri capitali al fine di trovare zone di manodopera a basso prezzo.
Oggi a ridosso di una crisi provocata sostanzialmente da un capitale finanziario slegato dagli investimenti produttivi ci si appella a una riforma del mercato del lavoro che ha come scopo principe la riduzione del costo del lavoro stesso; viene paventata sempre la concorrenza dei paesi emergenti come Cina, India o Brasile dove con una manodopera a basso prezzo si può produrre a prezzi concorrenziali.
Certo occorre fare i conti con la realtà; come occorre anche considerare che un welfare che assiste solo i lavoratori tutelati dalla Cassa integrazione mentre lascia nelle grane disoccupati e giovani da avviare al lavoro non è certo una gran cosa; ma iniziare dalla demolizione dell’articolo 18 non fa certo presagire orizzonti di avanzamento.
L’articolo 18 si basa sostanzialmente sul principio che il contratto di lavoro sia un contratto particolare dove sono in gioco l’economia di chi offre un lavoro e la vita di chi chiede un lavoro; tutelare il lavoratore da un licenziamento ingiusto non può essere considerato un pericolo per l’espansione dell’occupazione; la tutela avviene tramite un magistrato e i magistrati non sono “folli” quando emanano le sentenze, già una maggiore celerità nei meccanismi procedurali può andare bene per le aziende e per gli stessi lavoratori.
Quelli che sostengono la modifica o l’abolizione dell’art. 18 lo fanno con il “pio” presupposto del beneficio della flessibilità: meno vincoli si danno alle imprese e più aumenta il lavoro, ma questa non è una equazione matematica che porta a tale miracolo, è più facile che si vengano a verificare aumento della disoccupazione e riduzione del costo del lavoro in termini di retribuzioni.
La rescissione del rapporto di lavoro solo per decisione di una delle parti e senza giusta causa non avrebbe conseguenze nefande per il lavoratore solo se venissero ad esistere due presupposti: presenza di grande abbondanza di offerta di lavoro e la tutela economica per i periodi di disoccupazione.
Allora sig. ministro Fornero se la sente prima di tutto di:
1) Introdurre una indennità di disoccupazione sufficiente per vivere per tutto il periodo disoccupazione?
2) Ripristinare le liste pubbliche di collocamento obbligatorie con almeno il 70% di chiamata obbligatoria per le aziende?
3) Disporre regole per i contratti di lavoro a tempo determinato che rendano più onerosi tali contratti per le aziende?
4) Combattere il lavoro nero attraverso un ordinario e costante impiego di ispettorati?
E’ il caso sig. Ministro di rispondere a queste quattro domande prima di parlare di TOTEM dell’articolo 18.
20/12/2011 francesco zaffuto
Immagine stilizzata del numero 18

8 commenti:

  1. Se vogliamo ne possiamo discutere, ma dubito su di una reale volontà di riequilibrare il sistema.

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  2. Francesco bentornato!

    Dubito ci sia la voglia di equità. Qui si vuole avere manodopera a bassissimo costo e poco importa quello che costerà in termini di vite, tanto non sono le loro...

    Ti auguro serene feste nella gioia

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  3. ha già smentito...ma ci riproveranno....vigiliamo!!

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  4. Ecco, il tuo mi sembra già un ragionare meno emozionale rispetto ad altre opinioni che ho letto in giro.
    Ma non bisogna nemmeno dimenticare che un'azienda che chiude o che sposta la produzione dove il costo del lavoro è molto più conveniente, vuol dire altri disoccupati in più.

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  5. Valgono i tuoi 4 punti più la difesa integrale del'art. 18.

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  6. Son gli stessi che vogliono abolire l'art.41, come se venisse rispettato, ma quando mai?!?

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  7. Abolendo l'articolo 18 ci sarà la schiavitù completa.Ti auguro anche a te delle serene feste; salutoni a presto.

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  8. Stanno provando a rimandarci indietro, altro che totem, ce l'hanno giurata sin da tempi di quel sindacato di lotta e proposta che tu ricordi ed oggi si preparano a renderci la pariglia con tutti gli anni di interessi.
    Non a caso lo stanno facendo fare ai banchieri.

    Un abbraccione Francesco e felici feste!
    Namastè

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