La Brexit passa alla Camera dei Comuni, e Theresa
May può far scattare a marzo l’inizio delle trattative con la UE per
l’applicazione l’articolo 50 del Trattato di Lisbona.
Il
capolavoro dello schiacciante voto favorevole (494
a 122) è stato determinato da Jeremy Corbyn (leader laburista), che in nome del rispetto della volontà popolare ha detto Sì
alla Brexit; anche se lui stesso era
stato contrario al momento del referendum ed una buona parte del suo partito
sosteneva di continuare ad opporsi nella
sede del Parlamento .
Capolavoro
di Corbyn, che ha determinato la bocciatura di tutti gli emendamenti messi
sul tavolo dalle opposizioni per cercare almeno di limare il testo: ultimo
quello che mirava a fissare per iscritto a priori gli impegni del governo a
tutelare anche in futuro i cittadini Ue residenti nel Paese.
Con l’adesione dei laburisti alla Brexit e
diventata isolata la posizione degli scozzesi dell’Snp, posizione che è stata ribadita con
la sfida di rilanciare nuovamente la secessione dal Regno Unito.
Se i laburisti avessero votato tutti no alla Brexit in Parlamento, molto
probabilmente perdevano lo stesso; ma
almeno avrebbero dimostrato di voler
raccogliere la volontà di rappresentare i cittadini britannici che avevano votato contro l’uscita dall’Europa il 48.1%.
Probabilmente Corbyn ha pensato
che una parte della sua base laburista era a favore della Brexit e con la scusa
del rispetto del risultato elettorale ha voluto mantenere un risicato
equilibrio nel suo partito negando le sue stesse posizioni.
Non era certo un suo compito sostenere il
governo May in questa fase e non è certo compito di leader di partito quello di
essere codista nei confronti del popolo;
un leader politico deve in qualche modo indicare la strada che ritiene
giusta pagando anche il prezzo della non popolarità.
Francesco
Z.
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