L’istituto Monte dei paschi di Siena ha diffuso una nota in cui spiega le sue difficoltà a seguito di alcune operazioni intrattenute con altre banche internazionali, chi ha pazienza può leggerlo, ma non è facile capirci qualcosa.
Dicono che si erano limitati a fare delle operazioni su “derivati” solo per proteggersi dal rischio sui titoli pubblici italiani. Poverini, facevano solo delle prudenziali operazioni.
I “derivati” sono contratti che possono essere stipulati per prudenza oppure per scommettere su qualcosa. Con un derivato ci si può mettere a riparo da una operazione o fare un’operazione rischiosa. Ogni volta che si parla di derivati si dice che sono difficili da capire e che sono delle strane cose. La stranezza dei “derivati” è data dalle tante tipologie di contratti e dalle molteplici clausole che possono contenere. Infatti, l'informativa di cui al link di sopra è indecifrabile se non si conoscono le clausole dei diversi contratti.
Con i derivati in realtà non si compra nulla e non si vende nulla, eppure si può diventare miliardari o restare in mutande. Potete comprare la previsione che i titoli di uno Stato (greco o italiano) cadranno o che si riprenderanno alla grande, e lo stesso contratto speculativo potrà essere venduto ad altri ed altri potranno venderlo ancora ad altri. Se questa tipologia di puntate venisse fatta al Casinò di Campione potremmo essere ben sicuri di non essere toccati dalle disgrazie o dalle fortune degli scommettitori, invece questa tipologia di puntate si fanno in borsa e fuori borsa e li sta facendo la vostra banca, senza che vi ha chiesto un permesso, e li fa perché si fa forte dei i vostri stessi depositi. Il grande dirigente bancario scommette con i vostri soldi e se tutto va bene potrà vantarsi di avere lavorato bene e chiederà stipendio e prebende elevati; nel caso che le cose vanno male c’è il rischio che crolla la banca e, poiché la banca è un istituto delicato per il sistema economico, specie se trattasi di grande banca, viene chiesto l’intervento dello Stato e di conseguenza il costo ricade su tutti.
Riguardo ai derivati sono necessari accordi internazionali capaci di ridurli a pochissime chiare tipologie; ma una cosa si può affrontare da subito: proibire di giocare con i soldi degli altri e proibirlo alle banche che si trovano nella posizione di amministrare i soldi degli altri.
Il nostro sistema creditizio fino agli anni ’80 si fondava su una netta distinzione tra: banche di credito ordinario (che potevano operare a fronte dei loro depositi liberi e che potevano concedere credito a breve sventagliando il rischio insoluti su una grande massa di aziende); istituti che operavano sul medio a lungo termine (che concedevano prestiti di lungo periodo a fronte di emissione di titoli); e banche di affari (che potevano avere un carattere speculativo perché legate a progetti di grandi imprese o società finanziarie). Chi si rivolgeva ad una banca di affari sapeva che lo stava facendo a proprio rischio e pericolo.
La mondializzazione dei mercati e la presenza di grandi banche USA ed europee spinse i legislatori italiani a processi di imitazione; cominciò a circolare l’idea che il futuro era quello della Grande Banca che si occupava di tutto, e che solo con grandi poli bancari italiani si poteva reggere la concorrenza. Sempre sul finire degli anni ’80 circolava forte anche un’altra idea, quella che pubblico era cattivo ed inefficiente e il privato era bello ed efficiente. Quindi il grande polo bancario doveva essere privato e capace di occuparsi di tutte le operazioni finanziarie (dal credito a breve a quello a lungo termine, compreso il ruolo di banca di affari). Gli istituti di credito di diritto pubblico in Italia erano tanti e sono stati tutti trasformati in poli bancari, che si sono a loro volta associati tra loro attraverso il possesso di pacchetti azionari. Iniziò la svendita ai privati del sistema creditizio pubblico, e lo Stato cedette ai privati il meglio delle sue proprietà pur restando preda di un grande debito pubblico. In poco tempo sono diventati banchieri una masnada di speculatori e palazzinari.
Il Monte dei Paschi di Siena, il più antico istituto bancario del mondo, che era pubblico, diventò nel 1995 una privata SpA e per mantenere una qualche funzione pubblica, legata al Comune e alla provincia di Siena, venne costituita la Fondazione Monte dei Paschi di Siena, un ente no-profit. Un po’ come dire che la Monte Paschi (polo bancario privato) poteva magnificare con i sui utili il territorio di Siena, per iniziative di beneficenza, culturali, sociali ecc … ecc …; pertanto, un miscuglio di interessi privati e pubblici non ben definiti.
Se andiamo a guardare chi sono i più influenti azionisti di Monte Paschi (almeno per le notizie accessibili a tutti) scopriamo che sono: la stessa fondazione benefica Fondazione Mps per il 37,560%; la Unicoop Firenze Soc. Coop.va per il 2,727%; la Finamonte Srl per il 4,000%; la AXA S.A.per il 2,525%; ed infine la JPMorgan Chase per il 2,527% (sì, proprio quella banca americana al centro di tante operazioni che hanno originato la crisi negli USA). Il resto delle azioni pare sia distribuito su tanti piccoli azionisti. Ovviamente nella nomina di amministratori e dirigenti della banca avranno avuto un ruolo la Fondazione (vicina ai politici del Comune di Siena) ed anche azionisti come JPMorgan Chase.
Se i dirigenti di Monte Paschi hanno fatto pasticci, per agevolare se stessi e gli azionisti, tutte le colpe non possono ricadere sul PD (per il ruolo politico rivestito al Comune di Siena); ma più sono confusi i limiti tra pubblico e privato e più sono i danni che ne possono derivare.
Si è sempre detto che nel nostro paese il sistema bancario è solido perché è ben sorvegliato dalla Banca d’Italia che esercita un ruolo di vigilanza. Ma quando si tratta di piccole banche è facile vigilare, diventa un po’ meno facile quando si tratta di grandi banche perché la stessa Banca d’Italiaè un istituto dove il peso delle grandi banche ha una grande influenza ( la stessa Monte Paschi ha una quota di partecipazione in Banca d’Italia del 2,5% con 19 voti). Certo non vuol dire favoritismi ma è possibile molta delicatezza o qualche accidentale ritardo.
Ma ora; se dopo i controlli di Banca d’Italia si riscontrasse una necessità di aiuto quali possono essere gli effetti: un nuovo aumento di capitale privato, sempre che ci siano privati disposti a sostenere Monte Paschi con l’acquisto di nuove azioni, oppure un considerevole aiuto di Stato, oppure tutti e due.
Ma visto che per salvare Monte Paschi è probabile che sia necessario l’aiuto di Stato e visto che lo Stato è già intervenuto con Tremonti per 1,9 miliardi di euro; che fare ora? Continuare con la stessa medicina o cambiare rotta?
Cambiare rotta può significare: una chiara distinzione tra ciò che è pubblico e ciò che è privato; e se il privato è libero si deve assumere anche tutti gli oneri di un fallimento; se interviene lo Stato deve trattarsi chiaramente di nazionalizzazione e la banca deve passare esclusivamente a controllo pubblico e con responsabilità pubbliche.
Occorre di nuovo porsi di fronte alla necessità di distinguere tra aziende di credito ordinario e altre banche che operano sul medio e lungo termine; occorre che le banche d’affari siano ben segnalate ai clienti con una qualche segnaletica “di pericolo generico”.
Il cittadino che si rivolge a una banca deve essere protetto da una polizza assicurativa su tutti i suoi depositi e deve conoscere bene il suo grado di rischio.
Se fallisce una piccola banca, con i depositi assicurati, non c’è un gran rischio per il sistema creditizio, il sistema può essere forte per la molteplicità di presenze. Allora meglio un sistema di tante medio-piccole banche private e pochi istituti nazionali pubblici di riferimento, con un rigoroso controllo di una banca d’Italia veramente pubblica, e con una magistratura in grado di operare per la sorveglianza sui reati più gravi.
Quando si parla di riforme, la politica pare dividersi in riformisti e no; il problema è invece quali riforme e come.
25/01/13 francesco zaffuto
Immagine – Siena – la piazza della sede della Monte Paschi – da http://it.wikipedia.org/wiki/File:Toscana_Siena3_tango7174.jpg
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15 ottobre 2011 - Ma una banca può fallire?
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15 ottobre 2011 - Ma una banca può fallire?
Non capisco perché Bersani insista a dire che il Pd deve fare il Pd e la Banca fare la banca. Non sarebbe stato meglio condividere tra di loro anche la campagna elettorale. L'unione, si sa, fa la forza... vincente!
RispondiEliminaforse per via di "mantenere il segreto bancario", sorbole!
EliminaQuesto dibattito fra voi due qui sopra mi ha fatto ridere e mi ha messo di buonumore.
RispondiEliminaMa mi chiedo: certe decisioni il direttore le prende da solo o deve rivolgersi all'assemblea degli azionisti?
No, perché allora gli astuti sono più d'uno.
Cara Ambra, provo a rispondere su questo oscuro oggetto. L'assemblea ordinaria degli azionisti in una spa si fa una volta l'anno, si approva il bilancio e si confermano o si nominano nuovi amministratori. Ci può essere anche qualche un'assemblea straordinaria in casi di modifica di statuto o aumento di capitale o dimissione di amministratori. Ieri c' è stata una assemblea straordinaria in Montepaschi, c'è andato pure Grillo (ovviamente avrà alcune azioni e nessuno gli può togliere il diritto di parlare in assemblea, anche noi due potremmo farlo non bisogna essere dei miliardari per avere un limitato numero di azioni Montepaschi). Ma dopo avere parlato chi ha poche azioni non conta nulla e le decisioni saranno prese con a maggioranza delle azioni presenti. Molte delle decisioni ovviamente vengono prese prima con accordi tra chi detiene i pacchetti di azioni più cospicui. Il pacchetto azionario della Fondazione MPS pare essere il più cospicuo. I margini di manovra degli amministratori delegati sono abbastanza ampi.
EliminaEcco, la svendita... e, poi, tutto il resto.
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