Il controllo di una S.p.A. si ottiene con la maggioranza delle azioni. Si può pensare che sia necessario un 51% per controllare la società, niente affatto. Nelle società di capitali molto grandi, una gran parte di capitale è diviso tra una miriade di piccoli azionisti che sono ben convinti di non contare una cicca, di conseguenza non si presentano alla Assemblea ordinaria; ne consegue che al momento del voto in Assemblea il gruppo con maggior numero di azioni riesce ad avere il controllo della società, spesso può bastare uno scarso 20% di azioni ben concentrate in una sola mano; viene nominato l’amministratore delegato e la S.p.A. e sotto il controllo del vincitore.
Nella S.p.A Italia, l’attuale amministratore lamenta di avere pochi poteri che non gli permettono di governare nonostante l’ampio numero di parlamentari della sua maggioranza; vuole che il suo potere possa derivare direttamente dal voto della grande massa degli azionisti.
La grande massa degli azionisti della S.p.A. Italia è ormai è convinta di non contare una cicca: nelle ultime elezioni regionali il 35,8% non è andato a votare (nel ballottaggio delle ultime comunali si è registrata un’assenza addirittura del 41,3%).
L’aspirante amministratore delegato “unico” vanta attualmente il 31% ( si badi bene che detta percentuale è calcolata sui voti espressi e non sul totale degli aventi diritto al voto); se si considera che ha votato per le regionali solo il 64,2%, la percentuale di gradimento non arriva neanche al venti. Ma, come nelle società per azioni, può bastare. In soccorso dell’aspirante amministratore delegato è disponibile il 12% di un alleato e in questo modo la somma diventa il 42% dei voti espressi (anche in questo caso se il 42% si rapporta al totale degli italiani aventi diritto al voto non si arriva al 27%). Le premesse per il controllo della S.p.A. Italia ci sono tutte: l’assenza del 35,8% degli azionisti e tra i voti espressi la grande divisione del 58% dei suoi oppositori.
Fatti questi conti l’aspirante amministratore delegato dichiara di volere riformare tutte le istituzioni della Repubblica tranne la legge elettorale.
13/04/10 francesco zaffuto
Nella S.p.A Italia, l’attuale amministratore lamenta di avere pochi poteri che non gli permettono di governare nonostante l’ampio numero di parlamentari della sua maggioranza; vuole che il suo potere possa derivare direttamente dal voto della grande massa degli azionisti.
La grande massa degli azionisti della S.p.A. Italia è ormai è convinta di non contare una cicca: nelle ultime elezioni regionali il 35,8% non è andato a votare (nel ballottaggio delle ultime comunali si è registrata un’assenza addirittura del 41,3%).
L’aspirante amministratore delegato “unico” vanta attualmente il 31% ( si badi bene che detta percentuale è calcolata sui voti espressi e non sul totale degli aventi diritto al voto); se si considera che ha votato per le regionali solo il 64,2%, la percentuale di gradimento non arriva neanche al venti. Ma, come nelle società per azioni, può bastare. In soccorso dell’aspirante amministratore delegato è disponibile il 12% di un alleato e in questo modo la somma diventa il 42% dei voti espressi (anche in questo caso se il 42% si rapporta al totale degli italiani aventi diritto al voto non si arriva al 27%). Le premesse per il controllo della S.p.A. Italia ci sono tutte: l’assenza del 35,8% degli azionisti e tra i voti espressi la grande divisione del 58% dei suoi oppositori.
Fatti questi conti l’aspirante amministratore delegato dichiara di volere riformare tutte le istituzioni della Repubblica tranne la legge elettorale.
13/04/10 francesco zaffuto
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