Buio essere nel Buio: quando il giorno entra in occhi
08/01/10
A Rosarno, in provincia di Reggio, il sette gennaio : centinaia di auto distrutte, cassonetti divelti, ringhiere di abitazioni danneggiate, contusi e feriti dopo una sassaiola. A far scoppiare la rivolta pare siano stati degli spari con un fucile ad aria compressa, esplosi da alcuni balordi, nei confronti di due lavoratori stagionali .
Emerge una realtà che la politica del nostro paese vuole volontariamente ignorare: un popolo di circa 2000 persone, quasi tutti africani, che dall’inizio di novembre viene impiegato nella raccolta delle clementine in Calabria, che in marzo si sposta in Campania per la lunga stagione dei pomodori, e, infine, approda in Puglia in settembre per le olive. Un popolo che vive accampato in baracche e in edifici abbandonati in condizioni di estrema precarietà vitale. Il lavoro che svolgono è ovviamente in nero: venti o 25 euro al giorno e spesso a pagarli è un capolarato colluso con la ‘ndrangheta” o con la “camorra” a seconda dei territori dove si spostano.
Questi lavoratori fantasma sono odiati da una parte della popolazione che li vede come nemici che determinano la difficoltà a trovare impiego stagionale per gli italiani e concorrono ad abbassare le paghe per questi lavori saltuari. Nei fatti questi lavoratori immigrati determinano ricchezza per i proprietari terrieri e per il capolarato, sono super sfruttati e senza alcuna garanzia.
I lavoratori immigrati che lavorano in nero sono una realtà diffusa su tutto il territorio nazionale, li troviamo in piccole fabbriche marginali della Lombardia e del Veneto, in quasi tutti i cantieri edili d’Italia, in tante imprese di pulizia.
Si dice che gli immigrati fanno il lavoro che gli italiani non vogliono fare, ma ciò è solo parzialmente vero: padroni, padroncini e caporali che assumono in nero preferiscono dare lavoro ad un immigrato perché è disponibile a lavorare con paghe ridotte e spesso è disponibile anche a lavorare in precarie condizioni di sicurezza.
Emerge una realtà che la politica del nostro paese vuole volontariamente ignorare: un popolo di circa 2000 persone, quasi tutti africani, che dall’inizio di novembre viene impiegato nella raccolta delle clementine in Calabria, che in marzo si sposta in Campania per la lunga stagione dei pomodori, e, infine, approda in Puglia in settembre per le olive. Un popolo che vive accampato in baracche e in edifici abbandonati in condizioni di estrema precarietà vitale. Il lavoro che svolgono è ovviamente in nero: venti o 25 euro al giorno e spesso a pagarli è un capolarato colluso con la ‘ndrangheta” o con la “camorra” a seconda dei territori dove si spostano.
Questi lavoratori fantasma sono odiati da una parte della popolazione che li vede come nemici che determinano la difficoltà a trovare impiego stagionale per gli italiani e concorrono ad abbassare le paghe per questi lavori saltuari. Nei fatti questi lavoratori immigrati determinano ricchezza per i proprietari terrieri e per il capolarato, sono super sfruttati e senza alcuna garanzia.
I lavoratori immigrati che lavorano in nero sono una realtà diffusa su tutto il territorio nazionale, li troviamo in piccole fabbriche marginali della Lombardia e del Veneto, in quasi tutti i cantieri edili d’Italia, in tante imprese di pulizia.
Si dice che gli immigrati fanno il lavoro che gli italiani non vogliono fare, ma ciò è solo parzialmente vero: padroni, padroncini e caporali che assumono in nero preferiscono dare lavoro ad un immigrato perché è disponibile a lavorare con paghe ridotte e spesso è disponibile anche a lavorare in precarie condizioni di sicurezza.
In Italia sulla questione immigrati la politica oscilla tra il buonismo e la persecuzione.
Gli ultimi dispositivi normativi messi in campo dal Governo su pressione della Lega sono stati propagandati come il massimo della rigidità contro i clandestini: la clandestinità è stata considerata reato e l’affitto di case agli immigrati irregolari è stato considerato come favoreggiamento di un reato.
Ma il nodo del problema è il lavoro nero: diffuso nel nostro paese tra clandestini, tra immigrati regolari e tra gli stessi italiani.Il lavoro nero è una specie di terza economia nel nostro paese, tutti i politici ne parlano male da tanti anni, e nessuno si vuole assumere la responsabilità politica di mettere in campo dei dispositivi normativi per contrastarlo. I dispositivi normativi debbono essere necessariamente rigidi prevedendo delle penalità scoraggianti per i datori di lavoro in nero; la mancata dichiarazione dell’assunzione anche per un solo giorno di un lavoratore deve essere considerata reato. Non si possono perseguitare i disperati,vanno ostacolati quelli che si arricchiscono sulle loro spalle.
Occorre anche avere il coraggio di affrontare i meccanismi del collocamento al lavoro, non si può accettare che il collocamento sia fatto arbitrariamente da privati al di fuori di ogni controllo. I comuni debbono farsi promotori di uffici di collocamento per tutti i cittadini ed in particolare per gli stessi immigrati che debbono poter accedere al lavoro attraverso uffici di lavoro pubblici.
Solo con un lavoro liberato dai meccanismi di ricatto si può cominciare ad affrontare il problema dell’immigrazione nei giusti termini di integrazione. Altrimenti rischiamo di dare fette di territorio alle mafie locali e incrementiamo i fenomeni di razzismo.
Della eliminazione del lavoro nero ne trarranno un sicuro beneficio i lavoratori italiani, l’intera collettività per gli aspetti fiscali (poiché dietro il lavoro nero si nasconde la fetta più cospicua dell’evasione), gli stessi immigrati che potranno valutare le condizioni del loro soggiorno in Italia in modo chiaro e alla luce del sole.
Pare che la classe politica nel nostro paese sia in gran parte ostaggio delle componenti sociali che sul lavoro nero hanno trovato possibilità di arricchimento o si è adagiata per pigrizia mentale su una prassi consuetudinaria . Esiste una specie di ricatto strisciante per la politica che si manifesta con la paura delle conseguenze economiche negative che si possono ipoteticamente determinare con l’eliminazione dell’economia in nero. Le conseguenze possono essere solo positive se il problema si affronta con qualche misura appropriata sul piano dei contributi sociali e sul piano fiscale.
Il sindacato deve assumere il coraggio di farsi principale artefice di questa battaglia: lavoro nero, precariato diffuso e disoccupazione sono la cancrena del nostro paese.
francesco zaffuto
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(immagine – “buio_book - Buio essere nel Buio: quando il giorno entra in occhi ” © arianna veneroni http://www.flickr.com/photos/arive11/ )
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