L’introduzione di maggiore “flessibilità” viene considerata una misura necessaria per le ristrutturazioni aziendali e per aumentare l’offerta di prodotti quando si verifica una maggiore richiesta di mercato; e viene altresì considerata come una potenzialità in grado di aumentare l’occupazione.
L’uso dei contratti a tempo determinato può avere una influenza positiva sull’occupazione, ma se aumenta il ricorso a tali contratti gli effetti negativi diventano preponderanti (i dati del 2008 ci presentano 2.812.000 lavoratori precari circa il 12% del totale occupati).
Nei vari rapporti di lavoro a tempo determinato, il potere discrezionale di un mancato rinnovo tiene in una condizione di soggezione psicologica il lavoratore, annulla ogni ipotesi di rivendicazione salariale di chi ha un contratto a tempo determinato e comprime le rivendicazioni salariali dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato.
Sacche elevate di lavoratori precari comprimono la stessa economia per il freno domanda interna; la propensione al consumo di questi lavoratori è estremamente limitata ed ha la duplice capacità di riflettersi anche in una riduzione dei consumi delle famiglie dei genitori dei lavoratori precari; l’incertezza di una retribuzione e l’incertezza previdenziale futura, non possono certo spingere la domanda interna di consumi. L’avidità di quegli imprenditori che speculano sul precariato si ritorce sulle aziende corrette e sull’intero sistema.
Allora, se la “flessibilità” è utile per le ristrutturazioni aziendali e per un maggior aumento della produzione, occorre rispondere coerentemente: ad una maggiore utilità deve corrispondere una maggiore retribuzione.
Il lavoratore precario a tempo determinato deve necessariamente avere una retribuzione superiore, c’è una motivazione economica e morale che giustifica ciò: il lavoratore precario si assume involontariamente un rischio d’impresa superiore a quello dello stesso datore di lavoro e a quello del lavoratore a tempo indeterminato.
Con normative e contratti che recepiscano il principio di una retribuzione superiore si potrà arginare il ricorso al precariato che sta diventando nel nostro paese strutturale.
La parte di maggiore retribuzione per il lavoro a tempo determinato deve diventare contribuzione da devolvere all’INPS; presso l’INPS va costruita una cassa di protezione del lavoro precario in modo che il lavoratore a tempo determinato possa sempre avere una indennità retributiva nei periodi di mancato impiego.
francesco zaffuto
(immagine “varianti dell’aglio” fotocomposizione © liborio mastrosimone http://libomast1949.blogspot.com/)
Ho usato questa immagine per commentare l’intervento perché nel nostro paese ci sta chi mangia pasta aglio-olio e peperoncino per sfizio e chi la mangia molte volte per risparmiare (f.z.)
L’uso dei contratti a tempo determinato può avere una influenza positiva sull’occupazione, ma se aumenta il ricorso a tali contratti gli effetti negativi diventano preponderanti (i dati del 2008 ci presentano 2.812.000 lavoratori precari circa il 12% del totale occupati).
Nei vari rapporti di lavoro a tempo determinato, il potere discrezionale di un mancato rinnovo tiene in una condizione di soggezione psicologica il lavoratore, annulla ogni ipotesi di rivendicazione salariale di chi ha un contratto a tempo determinato e comprime le rivendicazioni salariali dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato.
Sacche elevate di lavoratori precari comprimono la stessa economia per il freno domanda interna; la propensione al consumo di questi lavoratori è estremamente limitata ed ha la duplice capacità di riflettersi anche in una riduzione dei consumi delle famiglie dei genitori dei lavoratori precari; l’incertezza di una retribuzione e l’incertezza previdenziale futura, non possono certo spingere la domanda interna di consumi. L’avidità di quegli imprenditori che speculano sul precariato si ritorce sulle aziende corrette e sull’intero sistema.
Allora, se la “flessibilità” è utile per le ristrutturazioni aziendali e per un maggior aumento della produzione, occorre rispondere coerentemente: ad una maggiore utilità deve corrispondere una maggiore retribuzione.
Il lavoratore precario a tempo determinato deve necessariamente avere una retribuzione superiore, c’è una motivazione economica e morale che giustifica ciò: il lavoratore precario si assume involontariamente un rischio d’impresa superiore a quello dello stesso datore di lavoro e a quello del lavoratore a tempo indeterminato.
Con normative e contratti che recepiscano il principio di una retribuzione superiore si potrà arginare il ricorso al precariato che sta diventando nel nostro paese strutturale.
La parte di maggiore retribuzione per il lavoro a tempo determinato deve diventare contribuzione da devolvere all’INPS; presso l’INPS va costruita una cassa di protezione del lavoro precario in modo che il lavoratore a tempo determinato possa sempre avere una indennità retributiva nei periodi di mancato impiego.
francesco zaffuto
(immagine “varianti dell’aglio” fotocomposizione © liborio mastrosimone http://libomast1949.blogspot.com/)
Ho usato questa immagine per commentare l’intervento perché nel nostro paese ci sta chi mangia pasta aglio-olio e peperoncino per sfizio e chi la mangia molte volte per risparmiare (f.z.)
Forse x uscire da questo situazione di precariato bisognerebbe creare le condizioni per cui le imprese facciano ricorso a forme contrattuali flessibili esclusivamente nei casi in cui l’esigenza di lavoro sia effettivamente flessibile. Per tutti gli altri casi le imprese devono essere incentivate ad assumere i lavoratori a tempo indeterminato. O quanto meno non devono essere incentivate a fare il contrario
RispondiEliminahttp://www.loccidentale.it/articolo/ariecco+l'articolo+18.0086061
Sono d'accordo; un lavoro come la consegna della corrispondenza postale, che ha un carattere continuativo, deve essere effettuato con personale a contratto a tempo indeterminato.
RispondiEliminaSono veramente tante le situazioni dove si finge di avere bisogno di flessibilità. (f.z.)